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Benigni, show su Raiuno: quante bugie e ideologia nella sua Costituzione

Il comico fa il pieno di share (44%) ma infarcisce il monologo di strafalcioni. Ecco quali

Giulio Bucchi
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di Francesco Borgonovo Come previsto, lo show di Roberto Benigni La più bella del mondo, andato in onda lunedì sera su Raiuno, è stato un successo enorme: share del 44 per cento circa. Significa -  spettatore più, spettatore meno - che dodici milioni e mezzo di persone hanno assistito a due ore di lezione sulla Costituzione italiana, corredate da qualche momento di satira, per lo più su Silvio Berlusconi. E se la satira, per definizione, è di parte e non va toccata, qualcosa invece si può dire sulla divulgazione. Perché se Robertaccio si è messo in mente di educare le masse, beh, forse è diritto degli individui muovergli qualche piccola contestazione. Lunedì, infatti, il comico (o ex comico, non si è capito bene) ha infarcito il suo pistolotto di omissioni, con qualche falso ideologico a corredo. Roba che, nel battimani generale, si è sciolta:  melassa politicamente corretta nel patriottismo da nazionale di calcio. Sorvoliamo sulle piccolezze che, in un monologo recitato quasi completamente a memoria (in questo Benigni è un campione), possono sfuggire. Tipo che la democrazia è stata inventata nel Medio Evo. O che il nazionalismo è il padre di tutti i mali (salvo poi ripetere ogni tre per due «sono orgoglioso di essere italiano»). Diritto di voto - Prendiamo, per cominciare, le frasi sul voto. «Votare è l'unico strumento che abbiamo», ha detto il nostro. «La cosa più terribile è non votare», ha ripetuto, spiegando che non bisogna lavarsene le mani come Ponzio Pilato: «Altrimenti decide la folla. E la folla sceglie sempre Barabba». A dirla tutta, sarebbe una forma di voto pure quella. Vabbé.  Il fatto è che Roberto avrebbe potuto almeno ricordare che l'esecutivo che ci ha governato finora non è stato eletto proprio da nessuno. Anzi, ha scalzato quello precedentemente scelto dal popolo, per altro con una larga maggioranza. Sarebbe stato carino farlo notare, ma comprendiamo l'imbarazzo: quando si inizia un programma ringraziando il presidente della Repubblica che ha nominato Monti senatore a vita e poi capo del governo è un po' difficile, poi, punzecchiarlo... Proseguiamo. Benigni, nella parte iniziale del discorso, ha ricostruito brevemente la storia d'Italia negli anni appena precedenti la Costituente. E ha parlato di «guerra civile». Un fatto positivo, visto che molti, a sinistra, contestano pure l'utilizzo del termine. Ha speso anche qualche parola di compassione per i vinti e il loro sangue.  Però un attimo dopo ha rimediato, rifacendosi a Italo Calvino e spiegando che «anche il più disonesto e il più balordo dei partigiani ha combattuto per la libertà». Come no, proprio vero. Peccato che una bella fetta di questi ultimi combattesse per instaurare una dittatura comunista in stile sovietico, a costo di accoppare brutalmente degli innocenti. Ma per Benigni anche gli assassini del «Triangolo della morte» sono meglio dei loro oppositori: siamo tutti uguali di fronte alla morte, ha detto, ma «non siamo tutti uguali di fronte alla storia». E arriviamo finalmente alla Carta. Secondo il comico, è meglio dei Dieci comandamenti, poiché questi sono tutti negativi, mentre la Costituzione è la «legge del desiderio, è la nostra mamma». Ci dice come dobbiamo vivere, come dobbiamo comportarci. Ci risulta, tuttavia, che prerogativa degli Stati totalitari sia proprio questo genere d'intervento nell'esistenza delle persone. Ma anche questa è una piccolezza, non si può sempre sottilizzare. Padri della patria - Il bello arriva quando Roberto si mette a discettare dei Padri della Patria: «Divennero dei giganti; furono profetici». Cita Calamandrei, Nenni, Croce, De Gasperi, La Pira, Giorgio La Malfa...Giorgio La Malfa? Al massimo Ugo La Malfa, che di Giorgio era il padre. Vabbé, è stato un infortunio. Ma almeno, parlando di Palmiro Togliatti - sempre nominato con affetto - si poteva dire qualcosa dei suoi legami con l'Urss e con il mostruoso sistema di cui sosteneva gli interessi nel nostro Paese. Invece niente.  Veniamo al passaggio successivo. Benigni tesse le lodi della forma di governo repubblicana. Ottimo. Afferma: «All'epoca di repubbliche non ce n'erano tante. (...) Sotto la dittatura o la monarchia il popolo è suddito o servo. Non ci sono uomini liberi». Ah, davvero? Veramente ci risulta che gli inglesi votino e che i loro governi siano anche più stabili dei nostri. Nonché meno inclini a farsi mettere i piedi in testa da qualche istituzione sovranazionale. Forse i cittadini del Regno Unito non sono liberi? Forse  i loro leader non sono democraticamente eletti? Non ci risulta.  Ma Robertaccio deve dire per forza che la nostra Costituzione è la migliore del mondo. Per esempio quando celebra l'articolo 21. «Ogni persona ha il diritto di esprimere il proprio pensiero liberamente», sostiene. E aggiunge che la Dichiarazione dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite -  che sancisce il medesimo diritto -  è stata scritta un anno dopo la nostra Carta. Verissimo. Però il Primo emendamento della Costituzione statunitense risale al 1789. Oltreoceano la libertà di pensiero e parola è sacra: dispiace, ma i nostri Padri della Patria sono arrivati dopo.  Giunti a questo punto, poi, si poteva ricordare che l'Italia è un caso più unico che raro in Occidente, visto che in questi giorni un giornalista - Alessandro Sallusti - è agli arresti per via di un articolo che nemmeno ha scritto. Certo, qui i Costituenti non hanno dirette responsabilità. Ma potremmo anche far notare che Giovannino Guareschi fu spedito in carcere proprio per aver scritto di Einaudi e De Gasperi. Piccoli particolari che, nella celebrazione untuosa, si sono persi.  Lasciamo stare la storia dell'Italia che «ripudia la guerra» e poi spedisce soldati in giro per mezzo mondo. (Ci sorge un dubbio: forse l'articolo 11 non viene rispettato perché costruito su un'ipocrisia di fondo?). Occupiamoci piuttosto di quel che Benigni dice, in conclusione di monologo, sull'Unione Europea. «Stiamo unendo un continente in pace», spiega. «Sessant'anni di pace», ripete. Come no. Lo vada a spiegare ai libici bombardati. Ma Robertaccio è un europeista convinto. «Per primi noi europei abbiamo imposto una moneta nuova, l'Euro, senza guerra». Infatti questa crisi ha mostrato un continente in pace perpetua, soprattutto in Grecia. Ha fatto vedere come gli europei vivano in serena prosperità. Magari sotto il governo di Berlino.  Ma a Benigni queste minuzie non importano. Lui deve celebrare la Costituzione, in onore e gloria dell'Italia dei tecnici (che tanto hanno desiderato mandarlo in onda). Dunque, viva il popolo sovrano. Basta che si sintonizzi sul primo canale, taccia e batta le manine.

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