Sul "Fatto" un fascio doc lo ricopre di fango e racconta: "Gli diedi quattro schiaffi"
Tomaso Staiti di Cuddia parla al quotidiano di Travaglio: "La famiglia La Russa un tumore. Ecco come è nato il loro impero"
Quando c'è da spargere copiosamente fango, Il Fatto Quotidiano non guarda in faccia nessuno. O meglio: i visi li osserva con attenzione, poi seleziona il più idoneo. E chissenefrega se il quotidiano vicediretto da Marco Travaglio, un quotidiano sbilanciato a sinistra (o verso Beppe Grillo, fate voi), dà voce al "Barone Nero", a un fascista doc, con una lunga militanza nel Msi, a un nobile che "li ha visti da vicino i fascisti con le mazze". L'intervistato da Gianni Barbacetto e Silvia Truzzi è Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse, nobile di famiglia trapanese, il cui cognome ricorda il più celebre Delle Chiaie (nessuna insinuazione, soltanto un'allitterazione, sia chiaro). "I La Russa? Un tumore" - E Staiti di Cuddia si scaglia contro i due "tumori", ossia Salvatore Ligresti e la famiglia La Russa. Nell'intervista i toni del nobile con sangue nero sono durissimi: "C'era un tumore (già nel 1989, a suo parere, ndr) a Milano, nutrito dai legami tra la famiglia La Russa e i Ligresti". Un tumore che "ha creato metastasi" perché "la politica è diventata uno strumento di affermazione sociale per morti di fame spirituali, che vengono ricoperti di soldi, ma restano morti di fame". Il racconto del Barone nero prosegue, e rivela che a nominare Gianfranco Fini segretario del Msi fu proprio di Ligresti. Poi rincara: "A Milano, per vent'anni, tutto un mondo è stato nelle mani della famiglia La Russa". "Lo presi a schiaffi" - Staiti di Cuddia racconta di aver conosciuto la famiglia La Russa nel 1966. Riferisce poi di fantomatiche minacce che gli avrebbe rivolto Antonino, padre di Ignazio, quando presentò un'interrogazione su un immobile dell'Ospedale Maggiore: "Bella questa giacca. Sarebbe un peccato rovinarla con due buchi", gli avrebbe detto Antonino La Russa. Il Barone Nero accusa poi Ignazio di bullismo ma a sua volta fa il "bulletto" e narra al fatto di quando prese a schiaffi colui che poi sarebbe diventato ministro della Difesa: "Sì sì, faceva il bulletto. Fu verso la fine degli anni '80 durante una direzione provinciale del partito. Lui non mi invitava mai, anche se io ne avevo diritto visto che ero in direzione nazionale e deputato. Aveva una strategia di conquista del potere nel partito per arrivare poi alla conquista delle istituzioni. All'ennesima battuta mi alzai e gli diedi quattro schiaffi. E lui incassò, senza dire una parola".