Cinque buone ragioni perché la Minetti si dimetta
La Lucarelli: non basta un'intervista in tv per far dimenticare i guai giudiziari
di Selvaggia Lucarelli Ci sono momenti in cui si desidera ardentemente essere qualcun altro. Usain Bolt quando oltrepassa il traguardo dei cento metri. Angelina Jolie quando Brad Pitt le infila l'anello di fidanzamento al dito. Stramaccioni subito dopo il derby, quando compone il numero di telefono di chi gli ha dato del provinciale. L'addetto al rancio di Fiorito, quando gli porta due sedani e un ravanello. Io, per esempio, ieri ho sognato di essere Alessio Vinci. Di essere lui quella mezz'ora buona in cui s'è trovato davanti Nicole Minetti. Mi sarei fatta anche crescere quella barbetta incolta, pur di sostituirlo sulla sedia blu. Lo stesso tono di blu della faccia delle donne italiane mentre rimiravano il consigliere regionale Nicole Minetti con i suoi sorrisetti da ragazzetta ‘ggiovane, solo un po' impunita, solo un po' ribelle, solo un po' mascalzona, ma mica niente di serio. L'avrei fatta accomodare e le avrei spiegato una serie di cose che sono forse meno facilmente assimilabili di silicone e botox, ma che la signorina Minetti dovrebbe sentirsi dire una volta per tutte. Intanto, se vuoi andare in tv a chiarire la tua posizione, non fingi di accettare un contraddittorio, chiedendo però che non si affrontino tutti i temi chiave che ruotano attorno alla tua figura e che sono anche la ragione (perversa) per cui sei in regione, sui giornali, sulle passerelle, sulla moto di Corona e in Via Montenapoleone un giorno sì e uno no. Se ci vuoi dare delle spiegazioni (cosa di cui non avremmo alcuna necessità, per giunta, perché è tutto molto chiaro), ce le dai proprio sugli argomenti che ieri sono stati tabù: Berlusconi, le feste, le intercettazioni, Ruby, i processi. Anche perché tolti quelli, non si capisce bene di cosa dovrebbe parlare, Nicole Minetti. E a Mediaset ci spiegassero il perché di un'intervista il cui senso era più o meno «La Minetti si rende disponibile a parlare di problemi linfatici, pozzi artesiani, pashmine indiane e proteggislip con le ali, ma non le chiedete di Berlusconi e Ruby». E' come invitare Federica Pellegrini e sentirsi dire: «Sì però non parlo di nuoto, Magnini, tatuaggi, tacco 12 e Luca Marin». Ci spiegassero come poteva fare, il povero Vinci, a controbattere decentemente alle risposte spocchiose della Minetti, senza poter dire nulla. Detto questo, vorrei continuare a spiegare due cose a lei, a quella che ieri pomeriggio, era un autentico esempio di pittura rinascimentale: riga in mezzo, poco trucco, sorriso beato e strafottente, Nicole ieri non era una donna, un quadro. Era la Monnalisa di (Alessio) Vinci. E qui Nicole, bisogna che ti spieghi la seconda cosa. L'effetto Carfagna, non funziona con tutte. Anche vestita da ancella dei poveri, quel retrogusto cubista del Pachà, rimane sempre. Che poi ancella fino a un certo punto. A ben guardare (e io al caso non ci credo), il look - collo alto castigato e orlo della gonna inguinale - era identico a quello di Sharon Stone nella mitica scena di Basic Instinct col famoso accavallamento di gambe, solo che qui ad accavallarsi erano le idee, gli aggettivi, gli «a me mi» e la linea difensiva tutta. Ma veniamo all'intervista, amica chips. Alla domanda sui tuoi trascorsi da igienista, hai risposto, testuale: «Mi ha sempre affascinata l'argomento medico scientifico e comunque la professione dell'igienista dentale è sottovalutata». Certo. Immagino le tue lunghe conversazioni con Barbara Faggioli e Marysthell Polanco sulla sofferenza cellulare e l'endocrinologia pediatrica. Così come ora mi è chiaro che quest'estate al mare quella di «50 sfumature di grigio» era in realtà una finta copertina che nascondeva il volume «Trattato di medicina ambulatoriale». Soprattutto, mi domando anche io come mai il lavoro dell'igienista dentale sia così clamorosamente sottovalutato, vista la fulminante carriera di chi è passata dal filo interdentale per i pazienti a quello del proprio perizoma balneare. Ma la risposta topica, Nicole, è stata quella alla domanda su come tu sia approdata nella politica: «Nasco come una giovane, ero militante a Rimini e poi può capitare di avere tanta fortuna». Dunque. Che tu nasca come una giovane è tutto da vedere, visto che a ventisette anni sembri la madre della Tatangelo, ma vabbè. E poi che vuol dire? Vendola è nato vecchio? E' Benjamin Button? Poi, Nicole. Cosa significa che eri militante a Rimini? Sii più precisa. Rompevi i vetri delle piadinerie a colpi di estintori se non restavano aperte quando chiudeva il Cocoricò? E la fortuna che c'entra col finire in politica? Volavi con l'ultraleggero e un colpo d'aria t'ha fatta schiantare sul vulcano di Villa Certosa? Riguardo i tuoi studi, amica chips, hai detto che sei stata bocciata alla maturità classica perchè eri una «pasionaria». Certo. Una vera pasionaria. Del resto, come risaputo, le comandanti zapatiste hanno vinto le loro battaglie a colpi di Birkin. Poi c'è la questione «La politica non deve essere di persone preparatissime, rappresenta tutte le categorie». Ovvio. Ci mancherebbe. Ci si prepara per una festa all'Hollywood, mica per una seduta in Consiglio regionale. Il problema però è che la categoria «igienista dentale-coloradina-olgettina-consigliere regionale-modella di intimo» rappresenta solo te, per cui è un raro caso di metarappresentazione. Ne hai dette tante, ieri, Nicole. Che vivresti benissimo con uno stipendio ridotto e perdonami, ma non ti ci vedo girare con la Carpisa ecopelle sottobraccio. Che per pensare alle dimissioni ti deve chiamare Alfano in persona e qui ti do atto, sei stata furba: quello ha paura pure di chiamare la moglie per dirgli che tarda a cena, figurati se chiama te per ordinarti di dimetterti. Ma soprattutto Nicole, io avrei voluto tanto essere Alessio Vinci quando continuavi a ripetere a mo di loop come il pulcino Pio: «E perché mi dovrei dimettere? Me lo dica lei! Perché? Perché?». E allora te lo dico io amica chips, perché dovresti farci questo favore. «Perché sei indagata per favoreggiamento della prostituzione, perché al telefono dividevi l'universo femminile in «zoccola», «sudamerica che non parla l'italiano e viene dalle favelas» e «io che faccio quello che faccio». Perché la ragione per cui sei in politica l'hai spiegata bene tu, in un'intercettazione in cui dicevi: «A lui fa comodo mettere te e me in Parlamento perché così lo stipendio lo paga lo stato». Perché la politica è una cosa seria, che non si annacqua in barili di trovate sceme e ad effetto fatte di shopping senza reggiseno e genialate simili. Perché se fai politica, esiste un registro di credibilità, dignità, buongusto sotto al quale non si può andare. Perché non è la sfilata in costume ad essere inconciliabile con la politica, ma il vuoto di valori, competenza, cultura, dignità, meriti, vocazione politica e, aggiungerei, di consensi. Per il resto, l'unica cosa giusta l'ha detta la tua maglietta: «Senza t-shirt sei decisamente meglio». Ora ne faremo fare una xxxl con cui rivestire il Pirellone con la scritta: «Senza Minetti sarei molto meglio». Magari ti convinciamo. Conoscendoti, dove non arriva Alfano, con te arriva un outfit.