Pivetti: «Fini scandaloso:io avevo due agenti»
«L'ispettorato di Montecitorio, che fa capo al Viminale ma decide in totale autonomia, si occupa della sicurezza della Camera e gestisce il servizio di scorta della terza carica dello Stato. Il presidente però ha voce in capitolo, può dare indicazioni». Parola di Irene Pivetti, la più giovane presidente dei deputati della storia della Repubblica, eletta a 31 anni, nel 1994, e rimasta in carica fino al 1996. L'antenata istituzionale di Gianfranco Fini non contesta la sentenza del ministero dell'Interno che attribuisce all'ispettorato di polizia in Parlamento (quindi a se stesso) la gestione delle guardie del corpo, sollevando il leader di Fli da ogni responsabilità. Ma testimonia in prima persona che il presidente ha una sua discrezionalità sull'organizzazione della scorta. «Io feci delle scelte all'insegna della sobrietà. Fini non l'ha fatto? Male. Avrebbe dovuto, soprattutto in un momento di crisi come questo». Anche quando era lei il capo di Montecitorio c'era questo andazzo d'estate con la scorta? «Neanche per sogno. Nei miei due anni alla presidenza della Camera, presi una manciata di giorni di ferie, che trascorrevo andando per caserme». Passione militare o masochismo? «Era una scelta di sobrietà. Serviva a non spendere, soprattutto perché si trattava di soldi dello Stato. Nelle caserme, infatti, la scorta non paga né vitto né alloggio. Sapendo che il presidente quando si muove è ingombrante per definizione, mi premeva ridurre il più possibile i costi». Non era un po' troppo spartana la caserma per lei? «No! Io sono fatta così. Da piccola sono andata per anni in campeggio con i miei, sono abituata. Anche adesso faccio vacanze popolari: sono a Cattolica, naturalmente a mie spese. L'ombrellone in spiaggia lo portano i miei genitori». Quando era presidente della Camera, la sua scorta la seguiva in vacanza o era stanziale in Tirolo? «Veniva lì con me e ripartiva con me». In quali caserme ha villeggiato? «La prima estate, nella caserma della polizia di Moena, in Trentino. Anche la seconda volta andai in Alto-Adige, vicino Merano, ma alloggiai qualche giorno in una pensioncina, dove furono pagate un paio di camere per le guardie del corpo». Scusi, ma quanti bodyguards aveva al seguito? «Quattro agenti della scorta più un autista, come ogni presidente della Camera». Quindi anche lei se ne sarà portati in ferie una decina per la turnazione, come Fini... «No! No! No! Con me ne venivano solo due: l'autista e un uomo della scorta. Avevo dato precise indicazioni in tal senso. Erano gli agenti del posto a tutelare la mia sicurezza e si dividevano i turni con i miei poliziotti. Da allora sono innamorata di questo gruppo della polizia di Moena, che però non ho mai più rivisto». Ma chi decide quanti uomini impiegare per la sicurezza del presidente? «L'organizzazione e la gestione delle guardie del corpo compete al Viminale. Ma il presidente può decidere quanti agenti portarsi dietro e come applicare le misure stabilite dall'ispettorato della Camera. Io lo feci. E ottenni che la mia scorta fosse ridotta all'osso». Che idea si è fatta lei dell'affaire Orbetello? «Se confermato, è scandaloso. Con 80milia euro ci paghi gli stipendi di migliaia di padri di famiglia. È un peccato che Fini non c'abbia fatto caso, perché chi ne fa le spese d'immagine è lui, ma soprattutto l'istituzione Camera. Adesso come rimediamo?». È possibile, come sostiene Fini, che la sua scorta sosti in albergo due mesi e mezzo all'insaputa del presidente? «Non ho idea se Fini sapesse o no. Io sapevo quanti agenti si occupavano della mia sicurezza e come si muovevano. Se lui ha incaricato qualcun altro di occuparsi di questo tipo di informazioni, deve prendersela con lui. Poi, ciascuno ha le sue priorità. Io avevo messo il risparmio al primo posto, quindi era una cosa a cui badavo molto». Condivide la querela di Fini a «Libero»? «No, ma non mi stupisce». Lei al suo posto cos'avrebbe fatto? «Se c'è un altro responsabile che non è lui, avrei fatto una formale protesta chiedendogli: ti sembra il caso di spendere i soldi in questo modo in un momento così difficile per il Paese? Sa quale fu la prima cosa che feci quando mi insediai alla Camera?». No. «Presi da parte il questore anziano Maurizio Balocchi (che era anche il segretario amministrativo della Lega, ndr) e gli dissi: tu hai il potere di controllo della spesa, abbiamo l'occasione di passare alla storia facendo risparmiare il Parlamento. E in effetti, risparmiammo il 10 per cento del bilancio della Camera ogni anno». Come fece? «Recuperai i quadri dai magazzini, feci restaurare gli orologi. Non comprai un'unghia, abbellii la Camera con quello che c'era. E inaugurai le visite guidate dei cittadini a Montecitorio. Ma ai miei tempi, che erano comunque duri, la logica era totalmente diversa rispetto ad oggi. A me di Fini, però, dispiace soprattutto una cosa». Quale? «In nome dei tagli, sono state licenziate quattro persone della mia segreteria a Montecitorio. Dalla prossima legislatura non avranno più un lavoro e neppure il diritto a un'indennità. Sono trattate peggio di qualsiasi altro lavoratore». Scusi, ma non è un privilegio assurdo anche quello per cui uno che ha fatto il presidente della Camera quasi vent'anni fa ha ancora una segreteria a Montecitorio pagata dallo Stato? «Non ho mai avuto obiezioni a privarmene. Non voglio rivendicare niente per me, nella maniera più assoluta. Dico solo: vogliamo salvare il loro posto di lavoro? O meglio, vogliamo trattarli come qualsiasi altro lavoratore e non far pagare a loro la colpa di un mio privilegio, al quale per altro io ho rinunciato? Siccome questa scelta dipende da Fini, l'ho cercato per dirgli: ricevimi, ti voglio spiegare». E lui? «Niente. Non mi ha mai fissato un appuntamento. Da mesi, ogni settimana la mia segretaria lo chiama e lui non si è mai degnato di rispondere a una telefonata. La scusa è che il presidente non ha tempo, è impegnato». Gli dica qui quello che vorrebbe comunicargli al telefono. «Caro Fini, se puoi spendere 80mila euro dello Stato per la tua scorta personale, non vedo perché tu debba mettere sul lastrico quattro signore che pagano solo lo scotto di aver lavorato per me». di Barbara Romano