Filippo Facci, il drammatico errore di Genova: perché il Ponte Morandi è stato demolito nel peggiore dei modi
Assistere alla stessa scena (un ponte che crolla) ma nel 2018 disperarsi, e nel 2019 invece festeggiare. In tempi di grillismo abbiamo preso ad accontentarci: smaltita la sbornia di chi, nell' agosto 2018, prometteva ricostruzioni in otto mesi o punizioni mostruose per i colpevoli e magari una loro espulsione dalla Via Lattea, o perlomeno dalle liste dei concessionari. Intanto, undici mesi dopo, dopo aver fatto sfollare 3.400 persone per garantire le operazioni in sicurezza, nel giorno più caldo e apparentemente sfigato dell' anno, dinamite e plastico hanno fatto collassare la struttura del viadotto Morandi con espressioni addirittura d' emozione per i ministri dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, dell' Interno Matteo Salvini, della Difesa Elisabetta Trenta e anche di chi si è sbattuto davvero, come il sindaco e commissario Marco Bucci e il governatore Giovanni Toti. No, Danilo Toninelli non c' era. E se da un lato sembra clamoroso, a ben pensarci è stato meglio così: chiamiamola questione di sicurezza anche questa. Non era giorno per contestazioni, e poi Toninelli è il classico personaggio capace di calpestare un detonatore per sbaglio. Per il grillini: trattasi di battuta. Resta che undici mesi dopo siamo ancora lì a spostare macerie. Con tutto l' ottimismo di questa Terra, per molti genovesi, e non solo genovesi, essere ancora alla demolizione suona discretamente vergognoso. La demolizione di ieri sì, certo, era anche un fatto emotivo, un episodio che non poteva non far tornare alla memoria le 43 vittime, gli sfollati, una città che da allora è nel caos, ma anche i brandelli di ricordi che quel ponte rappresentava tutti i giorni per tanti genovesi (parliamo di sessantamila mezzi quotidiani) e periodicamente per chi, ogni tanto, ci passava anche solo per andare in vacanza. Non ci sono state sirene, prima: in un attimo il ponte è crollato come se fosse stato di farina. Una sirena è suonata dopo, mentre i getti d' acqua attenuavano gli effetti della polvere. Insomma, l' atmosfera da funerale c' era tutta. INCERTEZZA SUI TEMPI - Resta anche da capire perché la preparazione di un funerale abbia necessitato di un intero anno, e, soprattutto, urge capire quando il ponte sarà ricostruito per davvero. Bucci e Toti parlano di primavera 2020, e gli altri copiano e ripetono. Qualcuno accusa i tempi biblici della magistratura per il dissequestro del ponte, e qualcosa di vero c' è. Altri - molti di più - ricordano che i ministri grillini non sapevano che cosa fosse una concessione autostradale e che persero molto tempo nel cercare di revocarla. Altri ancora che gli stessi ministri combatterono una perdente battaglia perché non volevano Bucci come commissario, e che il decreto licenziato dal governo a settembre 2018, per avviare la ricostruzione, conteneva anche norme su altri temi come il condono a Ischia: fu una polemica che impantanò tutto, soprattutto quando Toninelli (contestato perché «giocava col cellulare invece di ascoltare») esultò col pugno alzato. La promessa di ricostruire il ponte entro la fine del 2018, più volte rilanciata, risale a quei giorni, e spesso non venne abbandonata neanche davanti all' evidenza. Ci fu la questione dell' amianto: guai a rischiare di spararlo in giro con un' esplosione. Sta di fatto che la questione ambientale ha allungato parecchio il brodo anche perché l' hanno affidata a un apposito subcommissario, Luciano Grasso, un dirigente della Sanità ligure: da qui gli accertamenti dell' Arpal (agenzia regionale dell' ambiente) e l' azione instancabile ma lenta della magistratura che doveva gestire i sequestri del materiale da sottoporre a perizie continue, così da tempo ai tecnici di studiare per accertare le responsabilità. Il tutto senza perdere troppo tempo: utopia. Con, a Roma, la sponda istituzionale grillina: doppia utopia. «Bisogna cominciare a lavorare sul ponte per tirarlo giù prima di Natale» esortava il povero commissario Bucci ancora nel 2018: e l' hanno demolito ieri. Intanto, come una piaga d' Egitto, imperversava Toninelli. Il suo cattivo gusto resterà negli annali. Nel pieno del disastro, era partito per le vacanze e si era fatto fotografare sorridente con moglie e cappellino della Guardia Costiera: «Qualche giorno di mare con la famiglia con l' occhio sempre vigile su ciò che accade in Italia». Nel settembre successivo parlò di rendere il ponte «un luogo vivibile, un luogo di incontro in cui le persone si ritrovano, possono vivere, giocare, mangiare». Un ponte. Un viadotto autostradale sospeso a 45 metri dal suolo. Di seguito inventò che «la famiglia Benetton era ed è azionista di punta dei gruppi che controllano quotidiani come La Repubblica, L' Espresso, Il Messaggero. Ecco il motivo per il quale i media attaccano il Governo del Cambiamento». Nota: i Benetton non sono mai stati azionisti di questi gruppi. Poi, a Porta a Porta, Toninelli rise accanto alla riproduzione del ponte Morandi e scatenò perciò la rabbia dei telespettatori. In risposta, postò una foto per sfoggiare un nuovo taglio di capelli: «Ho revocato la revoca della concessione al mio barbiere». Doveva essere una battuta. Non sarà una battuta, invece, che il 5 novembre, al Senato, si accorsero che per il decreto Genova mancavano le coperture finanziarie: anche perché al ponte crollato, nel decreto, erano stati riservati in realtà 16 articoli su 45. Non val la pena di soffermarsi su come andò a finire. TRACCE DI FUTURO - I genovesi, oggi, vedono solo che un ponte di un chilometro e 182 metri non c' è definitivamente più. Ci sono tracce di futuro: travi calate a terra, gru altissime, mezzi, uomini e cantieri: Fincantieri, Italferr, Salini Impregilo. L' altezza dal suolo passerà da 50 a 25 o 30 metri. Dovevano inizialmente essere 43, un omaggio ai caduti. Corsie? Sempre due: assurdo. In conpenso hanno già fatto sapere che sul nuovo ponte non si potrà correre a 80-90 all' ora come sul vecchio. Già rompono le palle. «15 aprile 2020», data di fine lavori. Il commissario Bucci lo ripete da mesi. E poi a ruota lo ripetono tutti, senza saperne niente: dal presidente del consiglio Giuseppe Conte al ministro Toninelli, che ha aggiuto un monito: «Non sarà tollerato un minuto di ritardo». Come se smettere di tollerare spettasse a lui. Come se non fosse il ministro delle Infrastrutture e un ponte non fosse un' infrastruttura. Non manca chi dice che non aver lasciato ricostruire ad Autostrade sia stato un errore: in effetti avevano già tutte le carte del caso senza perdersi in fori pilota e neo esami ambientali che, oltre al tempo, hanno fatto spendere un sacco di soldi. In fondo era stato l' amministratore delegato Giovanni Castellucci a dire che potevano fare un ponte nuovo in otto mesi. Ma i vari Toninelli erano troppo incazzati. Ora non abbiamo il ponte: neanche l' ombra. Ma abbiamo Toninelli. di Filippo Facci