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Vittorio Feltri a Roberto Formigoni: "Basta, adesso devi chiedere la grazia a Sergio Mattarella"

Cristina Agostini
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Mi dice il direttore di Tempi, Emanuele Boffi, che Formigoni desiderava mi sentissi a pieno titolo tra gli amici destinatari della sua lettera. Questo titolo di amico mi sorprende e mi onora.  Il fatto che tale appellativo mi sia dedicato da un uomo in galera non mi provoca disagio. Anzi. Ho confessato in passato di stimare l'ex presidente della Lombardia come eccellente amministratore di una regione che ha trasformato in un prototipo invidiato e imitato nel mondo specie in campo sanitario (non purtroppo al Sud). Adesso la missiva, dove racconta la sua carcerazione con semplicità e senza lagne, desta in me l'ammirazione per la persona. Si dichiara innocente, e cita a sostegno il giudizio del grande avvocato Franco Coppi, secondo cui non ci sono a suo riguardo né colpa né prove. A 71 anni è caduto dal 31° piano di un grattacielo con vista su Milano e sulle Alpi nel cortile di una prigione ma non si è spiaccicato al suolo, si è tirato su. La prospettiva di farsi sei anni in cella non lo ha umiliato, non è stato schiacciato interiormente dal calcagno dei suoi nemici. Non ostenta chissà quali speciali sofferenze per l'ingiustizia. Ritiene le sue pene dolorose, ma paragonandosi alla situazione di altri, compagni di detenzione o agenti della penitenziaria, riconosce che forse hanno più problemi di lui. Non nasconde la sua fede, però non si esibisce in Gesummarie, una sobrietà che dà maggior credibilità alla sua testimonianza. La finisco con gli elogi, giacché sarei io a risultare patetico. Leggi anche: Formigoni ora rischia la rovina. Dai giudici la richiesta-bomba: risarcimento multi-milionario Confesso. Leggere come questo signore trascorre le giornate, tra pratiche burocratiche pervasive anche per prendersi la medicina tre volte al giorno, dove per ogni minima esigenza deve dipendere dall'umore altrui, regredito per legge in una specie d'infanzia delimitata dalle sbarre, mi sgomenta, poiché, come il grande Coppi, da povero gregario sono pure io arciconvinto della non colpevolezza penale di Formigoni. Sull'etica e soprattutto sull'estetica discutibile di certe sue vacanze non esisteva alcun diritto di imbastirgli un processo in tribunale, e lascio ai moralisti un tanto al chilo di giudicarlo, loro che hanno adorato l'eleganza dei tuffi dallo yacht dell'Avvocato con il pistolino per aria. Se lo dice di me, allo stesso modo credo che il Celeste chiami amici i lettori di Libero, dei quali sono sicuro di aver interpretato i sentimenti quando ho chiesto al capo dello Stato di esercitare la sua facoltà di concedergli la grazia. Ribadisco la richiesta, e se possibile con più determinazione. Mi rendo conto che l'epistola formigoniana dalla cella non faciliti, a dar retta ai giureconsulti, la clemenza del presidente della Repubblica. Infatti essa presupporrebbe - mi si dice - il pentimento del reo o almeno uno stato di salute a rischio di decesso. Le ultime scelte di Sergio Mattarella non sono andate però in questo senso: ha saputo correggere con la sua saggezza decisioni della magistratura formalmente corrette ma cariche di ingiustizia. È il caso di Formigoni. Il fatto che non strisci accusandosi e non si demolisca con scioperi della fame per ottenere pietà è prova semmai di rettitudine. Formigoni ha già pagato abbondantemente presunte colpe con l'umiliazione della prigione. Questo non appagherà di certo gli strilloni del crucifige, ma se ne faranno una ragione. Una cosa chiedo a Formigoni: domandi umilmente la grazia, pieghi il suo orgoglio. Chiedere la grazia a un galantuomo, allorché è l'ultima ratio affinché si faccia almeno un po' di giustizia, è un servizio alla buona causa. E, se permette, un piacere personale al mio bisogno di addormentarmi in pace. di Vittorio Feltri

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