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Filippo Facci: "Kyenge fonda un partito solo per gli africani. Ma nessuno dice che è razzismo"

Cristina Agostini
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Candidato ufficialmente a cretinata dell'anno, è nato il partito razzista di Cécile Kyenge: si chiama «Afroitalian Power Initiative» (yes) e si rivolge ovviamente agli «afro-italiani» in un momento politico in cui se ne sentiva drammaticamente il bisogno. Chiaro che non è proprio un partito (nessuno fonda partiti, i partiti fanno schifo a tutti) ma la pomposa presentazione del movimento è un programma stra-politico, e pure dirompente: «Afroitalian Power Initiative (Api, come la benzina, ndr) è un percorso di rafforzamento economico e politico della Diaspora Africana in Italia (scritto maiuscolo, ndr) e si pone il doppio obiettivo di rafforzare la partecipazione della diaspora alla cooperazione, e di costruire un quadro partecipativo che consenta alla stessa diaspora di affermare la propria cittadinanza in Italia, in Europa». Leggi anche: La Kyenge fonda il suo partito. Come lo chiama: spiegatele che vive in Italia IL PROGRAMMA - Tradotto in ita-italiano: vogliamo lo ius soli. In termini di marketing comunicativo: quel «power» non può non riecheggiare lo slogan «black power» che i neri d' America usarono per richiamarsi a «valori neri» ben stagliati rispetto ad altri colori. In termini meramente logici è un partito razzista, perché si rivolge a una precisa etnia continentale e, di converso, è come se domattina Roberto Calderoli fondasse un movimento rivolto ai bergam-italiani (ovviamente bianchi, o almeno vermigli) per combattere la discriminazione a opera per esempio dei bresciani. Ma siccome, della logica politica, è andata a ramengo la logica e pure la politica, ecco che il programma del movimento ancora svolazza: «In un momento in cui assistiamo alla crescita dell'afrofobia e alla marginalizzazione degli afro-italiani, Afroitalian Power Initiative vuole rianimare gli attori sociali afro-italiani per il bene dell' Italia». Dopo la xenofobia, talvolta venata di omofobia, e in attesa dell'afrocidio, ecco l'afrofobia: «Viviamo un momento storico in cui il rispetto della nostra identità di afro-italiani e dei nostri diritti sono costantemente messi a repentaglio», si legge in sintassi afro-italiana; e comunque «c'è chi vuole impedire ai nostri figli di usufruire dei servizi scolastici, c'è chi ci discrimina per il colore della pelle, c'è chi ci impedisce di vivere da persone libere». In Alabama, anzi no, in Italia, anzi no, a Modena, dove la Kyenge ha già organizzato un incontro in viale Virgilio che domenica metterà a fuoco «cittadinanza, diritti, opportunità lavorative e imprenditoriali, protagonismo politico, autoaffermazione civica» e tutto perché «è tempo di farsi valere». In realtà non è la prima volta che Cecile Kyenge fonda movimenti di straordinario insuccesso. Nata nel Katanga del Congo, di etnia bakunda (il padre aveva quattro mogli e 39 figli) contrasse la cittadinanza italiana sposando un calabrese nel 1994, poi nel 2002 fondò l' associazione Dawa con obiettivi non dissimili da quelli della neonata Api (ma con toni meno accesi) e rivolta solo ai neri del Congo. FALLIMENTI IN SERIE - Poi divenne portavoce della rete «Primo Marzo» per promuovere i diritti dei migranti, poi fu coordinatrice del progetto «Diaspora Africana» per promuovere la piena cittadinanza degli immigrati, poi fece carriera nel Pd (sempre occupandosi di immigrazione) sino a divenire deputato e addirittura «ministro nero» (sua definizione) con esiti ritenuti imbarazzanti anche da intellettuali e compagni di partito, questo mentre la critica del centrodestra si faceva lievemente più accentuata nel definirla «orango» durante il comizio di un deputato leghista, fatto che ebbe un' eco spropositata al punto da renderla intoccabile. Ora è deputata europea, ma evidentemente, tra una denuncia di razzismo e l'altra, ha vinto la noia. di Filippo Facci

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