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Penati: "Voterò alle primarie per Penati. Il Sistema Sesto? Non esiste"

L'ex presidente Pd della Provincia di Milano: "Io lasciare la Regione? Sono qui, ma il mio partito mi ha amareggiato. Prima bisogna sapere se le accuse sono vere"

Giulio Bucchi
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Filippo Penati andrà a votare per le primarie del centrosinistra, e voterà per Pierluigi Bersani, il segretario di cui è stato strettissimo collaboratore e con cui ha dovuto allentare i rapporti quando, un anno fa, è scoppiata la grana delle tangenti in Lombardia che lo vede accusato di corruzione. La Procura di Monza l'ha definito un "sistema", un sistema targato Pd: Penati è stato a lungo sindaco di Sesto San Giovanni, l'area al centro delle indagini per tutta una serie di affari immobiliari sospetti, e soprattutto presidente della Provincia di Milano. Insomma, un Ras. Cui ora nel partito, da qualche mese, chiedono in molti altri passi indietro. Per la cronaca, Penati subito dopo l'iscrizione nel registro degli indagati ha lasciato ogni incarico in Consiglio Regionale della Lombardia (era vicepresidente) e nel Pd, passando al gruppo misto. Al Pirellone e allo stipendio da consigliere, però, non ha detto addio. "Io sono qui - replica ai compagni di partito che gli chiedono l'addio definitivo, a Consiglio e Pd -. Però c'è una questione di sostanza: tutta questa polemica non può coprire il fatto che c'è l'urgenza di sapere se le accuse sono vere". Insomma, se Penati abbandonerà partito e Regione (e forse politica) si saprà solo dopo la decisione del Gup di Monza, che lo manderà o meno a processo. "Estraneo a tutte le accuse" - "Ho chiesto io di andare a processo immediato, è un atto che mi è dovuto, per me non ci sarà udienza preliminare si va dritti al processo". Penati assicura di "essere estraneo a tutto quello che mi viene contestato. Il sistema Sesto non esiste". "Sono una persona per bene, non mi sono arricchito con la politica, non ho conti correnti all'estero e chiedo di essere giudicato. Altri fuggono dal processo, io voglio il processo rapidamente, credo sia giusto anche per i cittadini che, come me, hanno il diritto di sapere la verità dopo 28 mesi di indagini". Bene, resta il pressing del suo partito. "Ammetto di essere amareggiato da un certo trattamento", ha ammesso poi al Tgcom24. E qui si torna a Bersani: sicuri che quel "voterò per lui, perché non dovrei andare a votare" sia, più che un gesto di riconoscenza dell'amico, una vendetta del collaboratore, mai scomodo e imbarazzante quanto ora?

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