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La trappola sul ddl lavoro: salvati solo i lazzaroni

La norma fantasma: il giudice può annullare il licenziamento per motivi disciplinari se sproporzionato alla colpa

Giulio Bucchi
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Il governo Monti ha tradito le imprese. Nel disegno di legge che riforma il mercato del lavoro, e in particolare nella parte che modifica l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è stata inserita una norma  che né il premier  né il ministro Elsa Fornero avevano anticipato ai rappresentanti delle aziende, tanto meno concordato con esse. Di essa non vi è traccia neanche nel documento di 26 pagine («La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita») presentato al consiglio dei ministri del 23 marzo dal ministro e da Mario Monti e approvato in quella stessa seduta. Eppure si tratta del documento tramite il quale il consiglio dei ministri dette il via libera alla riforma del lavoro, cautelandosi - come noto - con l'adozione della formula tartufesca «salvo intese» con le parti sociali. Intese che però, in questo caso, non ci sono state: i rappresentanti delle aziende si sono accorti della novità nelle ultime ore, controllando il testo ufficiale depositato dal governo al Senato. La sorpresa riguarda i licenziamenti per motivi disciplinari, quelli che i datori di lavoro considerano i più delicati, dal momento che si tratta di provvedimenti individuali e non collettivi. Il testo che il governo aveva presentato alle parti sociali, e sul quale aveva raggiunto l'accordo con esse, prevedeva l'illiceità del licenziamento per motivi disciplinari, e quindi la reintegrazione del lavoratore, in tre casi. Primo: «Il fatto contestato non sussiste». Secondo: «Il lavoratore non lo ha commesso». Terzo: «Il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle tipizzazioni di giustificato motivo soggettivo e di giusta causa previste dai contratti collettivi applicabili». Formula analoga era contenuta nel documento Fornero-Monti approvato dal consiglio dei ministri. Il disegno di legge presentato dal governo stabilisce invece due ipotesi nelle quali il giudice «annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro (…) e al pagamento di un'indennità risarcitoria». La prima ipotesi  è la «insussistenza del fatto contestato». La seconda avviene quando «il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili». La differenza tra i due testi, che per  le imprese rappresenta un passaggio dal giorno alla notte, è che in quello definitivo il giudice deve tenere conto non solo dei «contratti collettivi», come previsto nella bozza concordata con le parti sociali, ma anche delle «previsioni di legge» che impongono una sanzione conservativa (la quale può essere un richiamo scritto, una multa non superiore a quattro ore di retribuzione o la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per non più di dieci giorni). Tra le leggi di questo tipo, come gli imprenditori sanno bene, vi è l'articolo 2106 del codice civile, in base al quale le sanzioni disciplinari debbono essere comminate dall'azienda «secondo la gravità dell'infrazione», ovvero debbono essere proporzionali al danno procurato dal comportamento del lavoratore infedele. Per fare un esempio, se il dipendente ruba soldi o beni di altro tipo alla propria azienda, e questa lo licenzia ritenendo interrotto il rapporto di fiducia, il giudice può stabilire che una simile sanzione è eccessiva, perché il danno della perdita del posto non è proporzionale alla sottrazione di qualche centinaio di euro dal patrimonio dell'impresa. Quindi può dichiarare nullo il licenziamento e imporre il reintegro del lavoratore. In altre parole la nuova formula, a differenza della precedente, dà ai magistrati il potere di limitare il licenziamento per motivi disciplinari a casi assolutamente estremi.   Una doccia gelida per Confindustria e le altre associazioni. «È un'alterazione grave, è un peggioramento nettissimo rispetto al testo che ci era stato presentato», è il commento che filtra da viale dell'Astronomia, dove raccontano di una Emma Marcegaglia - se possibile - ancora più furibonda nei confronti del premier e del ministro Fornero. Resta da capire quando e perché il governo ha provveduto a cambiare una parte così importante del testo. Prove non ce ne sono, ma i sospetti cadono anche sul presidente della Repubblica. Il quale nelle scorse settimane ha prima tolto a Monti l'appoggio politico per il varo della riforma tramite decreto, quindi avvertito il premier che non è opportuno mettere la fiducia sul disegno di legge. di Fausto Carioti

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