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Pansa: Scalfari? Il Barbapapà bollito con un ego smisurato

Nell'ultimo libro del giornalista il ritratto al vetriolo del fondatore di Repubblica: il racconto di chi ne conosce vizi e virtù

Andrea Tempestini
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Su Libero in edicola oggi pubblichiamo il capitolo «Io e Barbapapà. Eugenio Scalfari» tratto dal nuovo libro di Giampaolo Pansa: Tipi sinistri. I gironi infernali della casta rossa (Rizzoli, pp. 422, euro 19,50), in uscita il 18 aprile.  Nel volume, il grande giornalista e firma del nostro quotidiano ritrae alcuni dei grandi personaggi della sinistra italiana: intellettuali, giornalisti, politici, alternando figure di primo piano ad altre forse meno note ma ugualmente importanti. Si va da Romolo Mangione a Giorgio Napolitano, da Carlo De Benedetti a Pier Luigi Bersani, da Eugenio Scalfari a Walter Veltroni. I protagonisti sono divisi in categorie: gli Invincibili, gli Sconfitti, i Superstiti, gli Isterici, gli Apprendisti, gli Indignati, i Bolliti, i Dispersi, i Rinati e gli Inguaiati. Il risultato finale è uno straordinario affresco dei progressisti italici: la sinistra come solo Pansa poteva raccontarla. Le due domande - Di Scalfari, Pansa spiega: "Da allora, negli anni successivi al 1968, Eugenio non aveva più militato in nessuna delle parrocchie partitiche. Ma senza mai smettere di curare il gioco che preferiva: essere l'interlocutore numero uno della politica italiana". E ancora: "In realtà voleva essere il padrone assoluto del proprio terreno. Il suo era l'atteggiamento dell'agrario che teme qualunque invasore ed è sempre pronto a combatterlo. Riteneva che il dibattito politico non doveva legargli le mani". Pansa, introducendo la sua riflessione sul fondatore di Repubblica, spiega: "Divenne inevitabile farmi due domande (su Scalfari, ndr). Che cosa provavo per lui? E che cosa provava lui per me? Erano interrogativi impossibili da evitare".   Leggi il pensiero di Pansa su Scalfari su Libero in edicola oggi, venerdì 13 aprile  

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