Così la Lega ha fregato Maroni: non può fare il segretario
Lo statuto del Carroccio proibisce che le prime due cariche del partito siano in mano a due lombardi. E se Bossi resta presidente...
Scattate le fotografie di rito e consumati i baci della pace tra Bossi e Maroni, sotto il Sole delle Alpi si sta preparando una primavera incandescente che finirà col congresso federale. Bossi non si fida di Maroni e non vuole consegnargli la Lega. In altre parole, il vecchio leone di Gemonio non vuole subire l'avvicendamento di leadership. La manifestazione di martedì a Bergamo lo ha colpito esattamente come lo colpì la manifestazione di gennaio in terra varesina organizzata dalla base dopo la fatwa che impediva a Maroni di tenere comizi. L'ostinazione con cui il Bobo sta portando avanti la partita non piace affatto all'Umberto, il quale sta già pensando alle contromosse. Una in particolare: Maroni chiede il rispetto delle regole e dello Statuto? Bene, allora nello statuto – articolo 15 – è scritto che il presidente federale e il segretario federale devono appartenere a due nazioni diverse, salvo diversa decisione del consiglio federale. Traduzione: se Bossi è il presidente federale ed è lombardo, il segretario eletto dal congresso non può essere lombardo. In questo cuneo normativo si stanno muovendo i nemici dell'ex ministro dell'Interno (che non sono pochi), sotto la regia di Bossi. Resistenza - Mettiamo in fila alcuni elementi. Cominciamo dal niet che Rosi Mauro avrebbe detto al Senatur rispetto alle dimissioni da vicepresidente del Senato. Chi conosce la pasionaria leghista, nota anche come «badante», sa che si è sempre uniformata alle parole del Capo e della moglie Manuela. Perché mai avrebbe dovuto disubbidire proprio ora che ha tutti contro? Il figlio Renzo fa un passo indietro e non colei che era l'ombra dell'Umberto? Semplice, perché l'ordine di mollare la poltrona non gli sarebbe arrivato nei termini perentori. Prova ne è il fatto che davanti alle telecamere, a precisa domanda su Rosi Mauro, Bossi ha lasciato cadere il discorso con un «Vedremo, vedremo». Quasi un gioco delle parti. Sempre sul palco bergamasco il Senatur s'è ben guardato dal consegnare la Lega a Maroni nonostante l'acclamazione della folla. Dopo le parole dure e «senza se e senza ma» di Maroni, Bossi s'è lanciato in una stranissima lettura dei fatti che vedono coinvolto il Carroccio rilanciando la teoria del complotto, difendendo Balocchi e parlando di servizi segreti. Tutta roba che la base ha fatto parecchio fatica a mandar giù. Regia interna - Sarà pure stanco e affaticato ma Bossi è tutt'altro che deciso a mollare il colpo. Ne avrebbe parlato con Calderoli e con Gobbo (oltre che con Reguzzoni, silente in questi giorni ma assai attivo sul fronte organizzativo: sua la regia della contestazione in via Bellerio contro l'ex ministro dell'Interno). Sarebbero stati loro a ricordare al Senatur l'incompatibilità territoriale prevista nello statuto tra presidente e segretario federale. Se dunque Bossi dovesse rimanere presidente federale (carica annuale appena assegnata al Capo dopo le sue dimissioni da segretario), la segreteria non può essere assegnata a un altro lombardo. La perenne diatriba tra lombardi e veneti e la paura di divisioni potrebbe quindi spalancare la strada a un uomo del Leone alato. Non Flavio Tosi, assai osteggiato da Bossi da Calderoli e da Gobbo (il quale martedì era arrivato a Bergamo con una pattuglia di veneti dalle ugole forti e pronte a gridare Um-ber-to Um-ber-to). Meglio il governatore Luca Zaia, nonostante le smentite del diretto interessato. Oppure il piemontese Roberto Cota, cerchista doc e calderoliano di ferro. La via d'uscita - Una via d'uscita potrebbe esserci: creare una carica per Bossi ad hoc, una specie di presidenza onorifica diversa dalla presidenza federale da assegnare a quel punto a un non lombardo, dando così il via libera a Maroni. Ma prima di arrivare a questa soluzione il Bobo dovrà vincere la sfida dei numeri, e le decisioni del Consiglio Federale di oggi su Belsito e Rosi Mauro sono un passaggio che l'ex ministro dell'Interno deve vincere. Ormai nella Lega nulla è più come prima e malgrado gli inviti all'unità Bossi su una cosa è sempre stato imbattibile: il divide et impera. di Gianluigi Paragone