Cinque procure in pressing: niente indagati. Per ora...
L'autista di Renzo Bossi guida i pm: "Non ero l'unico a fare da cassiere per i politici". Anche Genova e Bologna aprono fascicoli
Cinque. Ad oggi sono cinque le Procure della Repubblica che marciano in quadrata falange sulla Padania. Oltre a Milano, Reggio Calabria e Napoli ci sono, adesso, anche quelle di Genova e Bologna (cioè le sedi delle regioni padane che hanno visto Rosi Mauro legato federale, cioè commissario politico come preannunciato ieri da Libero) che indagano sulle sventure politico/finanziare della Lega Nord. Una bocca di fuoco di cui non s'aveva memoria dai tempi di Tangentopoli. Le ipotesi di reato sono un grazioso ventaglio: truffa ai danni dello Stato, riciclaggio, appropriazione indebita nel migliore dei casi. Ieri il Procuratore Capo di Milano Edmondo Bruti Liberati ha smentito con una capriola semantica l'arrivo di nuovi avvisi di garanzia nelle inchieste: «Non ci sono nuovi indagati rispetto a quelli indicati al momento delle perquisizioni. Lo escludo in modo più assoluto...». Il che non esclude che vi siano soggetti indagati dall'inizio delle indagini -come pare, Rosi Mauro, per esempio-. Tranne Belsito non tutte le “originarie iscrizioni” nel registro degli indagati sono note. Inchieste parallele - Le stesse inchieste procedono parallele in lungo e in largo per la penisola e, per ora «non ce n'è nessuna necessità di unificarle» chiarisce Bruti Liberati, aggiungendo che ci sono normali consultazioni tra i pm che si stanno occupando dell'inchiesta e che stanno analizzando in queste ore il materiale. Premessa necessaria, questa, spiega il procuratore, «per fare un passo avanti». E sta bene. La giornata giudiziaria si è consumata convulsa coi cronisti aggrappati ai palazzi di Giustizia. L'uomo del giorno è stato Alessandro Marmello, l'ex autista di Renzo Bossi sentito come testimone dal pm di Milano Paolo Filippini. Marmello è l'uomo che ha documentato in un video apparso sul sito del settimanale Oggi e nel reportage firmato da Renzo Magosso il passaggio di denaro da lui consegnato al “Trota”. Un cinquantino d'euro, stavolta argent de poche per il rampollo padano. Che è la punta d'iceberg di un sistema che prevedeva cifre pari a mille euro al giorno per il consigliere regionale. Infatti quei soldi, secondo quanto raccontato dallo stesso Marmello, provenivano dai rimborsi elettorali della Lega Nord e dovevano essere utilizzati per il parco auto. Al pm Marmello, ha confermato di essere stato per molti mesi il cassiere del figlio di Umberto Bossi (veniva chiamato pare detto “il cambusiere”), al quale passava il denaro necessario a sostenere le spese di ordinaria amministrazione; pure se quel denaro avrebbe dovuto essere destinato alla manutenzioni dei mezzi di trasporto. Tra l'altro, si scopre che prima di Marmello anche i suoi predecessori avevano stessa identica mansione. La qualifica di Bancomat umano era assai apprezzata dalla tradizione padana. Le disposizioni sul denaro per Bossi junior venivano, tra l'altro, da Nadia Dagrada e Daniela Cantamessa, ossia da due delle donne della segreteria, mentre non riceveva ordini dai vertici del partito. Così, mentre il procuratore di Genova Michele Di Lecce ieri ha aperto un fascicolo, per ora a carico di ignoti, cominciano ad illuminarsi tutti i punti oscuri sulle altre operazioni finanziarie della Lega targata Belsito. Dalla prima lettura delle carte e dall'interrogatorio tra cui l'acquisizione di alcuni documenti bancari e l'interrogatorio di Paolo Scala, l'uomo d'affari indagato assieme a Belsito e al consulente d'impresa Stefano Bonet, i magistrati hanno effettuato una prima ricostruzione del giro che avrebbero fatto i soldi investiti all'estero. Si è capito che 1,2 milioni di euro sono stati investiti presso un fondo cipriota da cui poi, quando la vicenda è uscita tra molte polemiche sulla stampa, sono stati riportati in Italia circa 850 mila euro. Tanzania e Norvegia - Diversa sarebbe stata la strada presa dagli altri 4,5 milioni di euro prelevati dalle casse della Lega: il tentativo sarebbe stato quello di effettuare un investimento in una banca in Tanzania dove sarebbero rimasti congelati e poi respinti dallo stesso istituto di credito per “mancanza di trasparenza”. La caccia ai fondi occulti, poi, porterebbe anche alla Norvegia. Dei 7 milioni trasferiti all'estero tra dicembre e gennaio scorsi da Belsito con la complicità dell'imprenditore Stefano Bonet poco più di 5 erano depositati su una banca di Nicosia, a Cipro; il resto potrebbe essere proprio in nord europa. Si attendono ora perquisizioni a Genova e Bologna. E si fila come treni sugli altri tre filoni d'inchiesta: le spese della “Family” a Milano compresa Rosi Mauro; a Napoli le operazioni e estere; e a Reggio Calabria il caso Girardelli e i legami con la 'ndrangheta. C'è molto da lavorare... di Francesco Specchia