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La riforma del lavoro farà flop Ecco i quattro punti critici

Con la possibilità di reintegro più potere ai giudici e tempi lunghi. In più, nulla si dice su ricollocamento e dipendenti statali

Matteo Legnani
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Avevano detto che la riforma si sarebbe fatta "con o senza l'accordo delle parti sociali". Ma alla fine hanno "sbracato" sulle proteste della Cgil, che si era schierata apertamente contro la revisione dell'articolo 18 com'era nella prima versione dell'accordo. Poi, invece, Monti e Fornero hanno ceduto sul tema del reintegro, che resta possibile in caso di licenziamento economico previo ricorso ai giudici. La "seconda versione" della riforma del lavoro, quella su cui hanno trovato l'accordo governo e partiti che lo sostengono, ha però suscitato veementi proteste da parte della Confindustria e critiche pure da un ampio schieramento di parlamentari. I motivi per cui la riforma non produrrà gli effetti auspicati (maggior elasticità del mercato del lavoro sia in ingresso che in uscita, maggiori investimenti delle aziende anche straniere) sono fondamentalmente quattro. La sussistenza: il giudice sarà chiamato a valutare la sussistenza o meno dei motivi economici del licenziamento, dovendo così passare al setaccio i bilanci delle ziende con un allungamento dei tempi di giudizio e se poi le motivazioni non sussistono scatta il reintegro; i servizi per l'outplacement: mancano del tutto riferimenti precisi ai servizi per ricollocare i disoccupati e formarli per dare loro nuove opportunità; condizionalità: non esiste alcun riferimento alle condizioni in base alle quali si perde il diritto al sussidio (Aspi) e alla formazione. Per esempio, chi rifiuta un lavoro per la seconda volta viene escluso da sussidio e formazione; statali: i dipendenti della pubblica amministrazione sono esclusi dal campo d'applicazione della nuova legge sul lavoro, tutto è rinviato a un provvedimento che andrà concertato con le parti.

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