Il piano segreto di Monti: premier anche dopo il 2013
La disoccupazione sale, la crescita è un miraggio, ma Mario ha la formula vincente: dire che senza di lui andrebbe peggio
Più le cifre, e i fatti, lo tirano giù, più lui si tira su. Quanto ad autostima e abilità nel vendere se stesso, Mario Monti non ha nulla da invidiare al suo predecessore, Silvio Berlusconi. Anche la tattica rivela insospettate analogie. Tanto più è in difficoltà, quanto più afferma che va tutto bene, quando dice qualcosa di cui poi si pente, incolpa i giornalisti, promette il sole in tasca anche quando spegne la luce. Deve solo lavorare sul sorriso; ieri la faccia carica di mestizia che ha esibito in conferenza stampa presentando la riforma del lavoro, confliggeva pesantemente con tutte le sue affermazioni. E ci voleva veramente troppa buona volontà per credere alla Fornero quando, in un Paese che perde occupati a centinaia di migliaia, ha provato a dire che i licenziamenti sono un'occasione di miglioramento. Sul lavoro la sinistra lo costringe a un accordo al ribasso, e lui dichiara che «è una riforma storica». L'amata Europa divulga un documento in cui afferma che causa mancata crescita sarà costretto a fare un'altra manovra e lui afferma di «essere sostenuto dai governi esteri più di quanto immaginassi». Standard & Poor's dichiara che «Italia, Spagna e Portogallo affronteranno una vera recessione» e SuperMario si mette la medaglia: «Abbiamo evitato di finire come la Grecia». Le imprese si sollevano contro il nuovo articolo 18 e lo accusano di metterle nelle mani dei giudici e lui replica che «adesso le aziende faranno più investimenti sul lavoro perché hanno un ambiente più favorevole». I partiti rischiano di frantumarsi per sostenerlo e a ogni fiducia perde qualche voto, e lui afferma di «avere il sostegno pieno di tutti». La disoccupazione sale al 9,3%, la crescita è negativa, il debito pubblico è cresciuto di 35 miliardi e la Borsa da che c'è lui è la terzultima in Europa e Monti si vanta che «senza di me sarebbe stato peggio». Il segreto suo è questo: dire che va tutto bene, finché la gente gli crede. E chi non ci sta, può impiccarsi, darsi fuoco o buttarsi giù dalla finestra, come già sta avvenendo. Se poi i conti non tornano anche più in generale, la soluzione è quella delle tasse, punire i cittadini per non inimicarsi i poteri veri, pubblici e privati. Una strategia, una capacità illusoria e un eloquio da politico consumato più che da professore. Se ce li avesse avuti Berlusconi, sarebbe ancora lì alla faccia di tutti i processi. Ma soprattutto, Monti tradisce una volontà di tirare diritto ferrea, a tutti i costi. Se qualcuno glielo chiede, si schermisce: «Questo lavoro fra un anno mi avrà esaurito, sono di passaggio». Però, anche se non fosse così e desiderasse invece restare nell'agone anche nel 2013, qualcuno è davvero convinto che SuperMario lo dichiarerebbe ora senza mezzi termini? Impossibile, ormai è già politico più che professore, e sono lì a dimostrarlo i provvedimenti che non ha preso (tagli degli sprechi pubblici, detassazioni capaci di produrre crescita, investimenti redditizi). D'altronde, la tela ha già cominciato a tesserla da tempo. La prima frase esplicita è stata «i sondaggi premiano me più dei partiti», ha tuonato dalla Cina per vedere l'effetto che faceva, e in pochi hanno avuto a che ridire. Ieri in un'intervista a La Stampa ha alzato la posta: «Immagino che se la situazione ancora lo richiederà i partiti possano pensare dopo il 2013 a una grande coalizione. Ne parlai anche nel 2005, mi attirai solo critiche, ma poi eccomi qui. D'altronde - si bea il narciso - sono convinto che i comportamenti virtuosi non saranno abbandonati». «Io guarderò da fuori», chiosa il sedicente padre nobile della moralità pubblica ma a questo punto sarebbe davvero ingenuo credergli... Il calcolo di Monti è semplice: punta tutto sulla debolezza dei partiti e il sentimento di anti-politica degli italiani. Dalla sua posizione privilegiata, pare addirittura sforzarsi di acuirlo, quando esalta la propria diversità morale, scarica sul passato le responsabilità delle tasse che lui aumenta e mette in conto ai partiti il prezzo di riforme (pensioni e lavoro) che gli italiani soffrono ma che a lui fanno tanto pedigree. Tra un anno, Monti lo sa bene, la crescita - per la quale si attendono vanamente sue iniziative - sarà ancora un miraggio, i partiti saranno ancor più logorati dal peso delle lotte intestine e dei provvedimenti impopolari che sono costretti ad avallare e lui sarà l'uomo che non ci ha fatto fare la fine dei greci. Poco, ma quanto basta per passare all'incasso. Napolitano l'ha capito, e infatti ultimamente ha provato a mettere i bastoni tra le ruote alla sua creatura che gli si ribella; però non ha alternative. Pure ABC (Alfano-Bersani-Casini) e gli altri l'hanno capito, ma si sono rassegnati a fare i complici. Al punto che non è neanche escluso che riescano ad accordarsi per fare una riforma elettorale: quanto basterà a tenere tutti lì senza troppi danni per nessuno. Che poi a far politica e guidare l'Italia si troverà pur qualcuno. Magari un tecnico, meglio se un po' esperto. di Pietro Senaldi