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Pacino e De Niro decotti Che tristezza la caduta degli dei

Al premiato come "Attore cane" dell'anno, tra lui e De Niro è una gara a chi affonda prima

Lucia Esposito
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Qualche tempo fa un grande collega (purtroppo scomparso) Tullio Kezich scrisse che s'invecchia bene solo al cinema. Solo lo schermo riesce a dare l'illusione che la senilità possa essere una bella stagione (di saggezza, di consapevolezza, di amore per i propri simili). La realtà è purtroppo quasi sempre diversa. E tra coloro che invecchiano peggio sono i divi del cinema a occupare i primissimi posti (perché a declinare non sono solo le loro persone, ma anche l'immagine sul telone che magari per i superstar conta di più). Kezich pensava a John Wayne che a 40 anni fu uno splendido sessantenne in I cavalieri del Nord Ovest, ma arrivato anagraficamente a  quell'età  non riuscì a essere di pari splendore (fu un nonno rancoroso, dipinto, politicamente farneticante). Onorevole tramonto  Per conto  mio ricordo un solo onorevole tramonto, quello di Paul Newman che appena avvertito il declino, diradò le apparizioni accettando solo parti di carattere  (ma quanto ben delineate: il padrino di Era mio padre, il babbo di Kevin Costner in Le parole che non ti ho detto). Avrei giurato di poter dire, venuto il turno, la stessa cosa di Al Pacino, che da quasi 40 anni considero il miglior attore del mondo. Mai e poi mai avrei pensato di sentire un giorno la parola “cane” riferita al grande Al. E invece è successo. La giuria dei “Razzle awards” che ogni anno premia, in concomitanza con l'Oscar, i peggiori di Hollywood, l'ha definito il più cane tra i non protagonisti. Manco protagonista, dunque. In Jack e Jill gli tocca far da violino di spalla a un attore di opinabile bravura (e scarso  richiamo commerciale) come Adam Sandler. E non è tutto. Nei sette film (tutti di serie B) girati o in corso di lavorazione negli ultimi due anni Al deve reggere il moccolo a  giovani colleghi tutt'altro che irresistibili come Channing Tatum (The son of no one) e Ben Foster (Gotti  in the shadow of the father). E c'è dell'altro. Nei poco magnifici sette è compreso anche un cartone animato (Despicable me). Paura del declino Ma che gli è successo a Pacino? Più o meno quanto è accaduto al suo collega (e rivale in bravura e divismo) Robert De Niro. Una maledetta paura del declino, del giorno in cui le porte degli studios cinematografici verranno  chiuse al loro arrivo.Perciò si son messi freneticamente a bussare anche alle porticine, accettando piccole parti in piccoli film. Se sette pellicole in due anni per Pacino sembrano eccessive, quelle nello stesso periodo nel curriculum di De Niro arrivano a dodici. Tutti coloro che han pensato che la marchetta di Robert in Manuale d'amore 3 fosse il fondo dell'abisso per il grandissimo di Taxi driver e Toro scatenato non sanno che, tutto sommato, nella recente filmografia dell'attore la commediola con la Bellucci  è ancora il meno peggio. In  Capodanno a New York e in The wedding l'hanno confinato in  brevi particine.  In Red lights  e Becoming  Flynn gioca con ogni evidenza in serie B. Che magone! Robert del resto alle marchette senza storia è abituato da lunga pezza. Anche nel periodo di maggior fulgore prendeva tutto, pure personaggini insignificanti (Copland, Backdraft fuoco assassino, La stanza di Marvin) che chiunque avrebbe potuto fare. E questo evidentemente  pur di far quattrini, per quell'angoscia che prende gli ex morti di fame quando temono di saltare un pasto. Quindici anni fa, mentre assistevamo incantati allo spettacolare duello tra Al e Bob in Heat-La sfidadi Michael Mann, tutti eravamo  lì a domandarci: chi è il migliore? Due anni or sono quando vollero riunirli, ormai vecchi in un giallo di serie B Sfida senza regole il quesito era purtroppo cambiato: chi è il peggiore? Oggi non chiediamo più. Perché lo spettacolo del loro cupio dissolvi è così forsennato da suscitare solo rimpianti. E un magone grande così. di Giorgio Carbone  

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