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Il nostro turismo è nelle mani dell'uomo che odia l'Italia

Maglie: Pier Luigi Celli al vertice dell'Enit. Nel 2009 scrisse una lettera al figlio: "Questo paese non ti merita"

Matteo Legnani
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I figli se ne vanno, i padri restano, alcuni da privilegiati come d'abitudine; Pier Luigi Celli diventa presidente dell'Enit e dovrà fare il piazzista d'Italia con chi non ci vuol venire più, un po' come fa Mario Monti con chi non ci vuole investire più. Peccato che uno, il presidente del Consiglio, ancora non abbia fatto proprio niente per attirarli quegli investimenti, peccato che il secondo, il manager professore scrittore, ci abbia perentoriamente comunicato un paio d'anni fa che per questo Paese non c'è niente da fare, naturalmente soprattutto per colpa del Cav, e ora abbia accettato di rappresentarlo e promuoverlo, proprio come se fosse un Bel Paese. A Roma si dice di alcuni caratteri che coniugano il massimo del successo e dell'affermazione personale con il massimo del sopracciglio alzato, del fastidio per chi ha vinto e rivinto le elezioni non essendo il suo candidato, alcuni che da manager tagliano con l'accetta e la morale usata come clava fregandosene del merito, poi alzano alti lai sul merito perduto, che “piange il morto e frega il vivo”. Ecco, fra i tecnici bocconiani del governo e satelliti, nella nuova classe politica del sopracciò, il piangi e fotti è dominante, un vero stile di vita, un segno di riconoscimento e di appartenenza a club esclusivo che ai comuni mortali è sconosciuto. Non sia mai che io affermi tutto ciò per salvare la classe politica “in sonno”, a riposare della fatica mai fatta, ma certo è che la convinzione dei designati da Mario Monti, e prima da Giorgio Napolitano, a vario titolo, ministri, sottosegretari, portavoce, grand commis, e ora presidente dell'Enit, di rappresentare il meglio e di non dovere alcuna spiegazione di passata responsabilità o almeno di contiguità per come andarono le cose, è stupefacente, almeno quanto l'esilità dei cambiamenti che coraggiosamente disegnano. Pier Luigi Celli nel 2009 scriveva al figlio che suppongo neolaureato una lettera che sui giornali fece notizia e polemica, «Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché». Sono propensa a dagli ragione, per esperienza personale e per decenni di osservazione di come vanno le cose in Italia. In questo Brutto Paese però Pier Luigi Celli non è stato mai alla finestra, al contrario sempre almeno comprimario, e di decisioni importanti, di luoghi deputati alla promozione dell'eccellenza, cito solo la Rai e la Luiss. È stato schierato e attivo politicamente, a sinistra, a lungo dalemiano, se ricordo bene. Sicuro di non avere alcuna responsabilità, di potersi ergere a giudice dolente? Sicuro che la Rai mediocre che oggi gli italiani non vogliono più finanziare non lo riguardi neanche un po'? Se convinti di innocenza, insieme ai figli si dovrebbe scegliere l'esilio. Invece, miracolo, è arrivato il governo dei tecnici, con lo stravagante appoggio dei politici di sempre, e Celli ha ritrovato l'entusiasmo giovanile, pronto addirittura ad occuparsi di un problema incancrenito, la non competitività del nostro turismo, che è come dire che uno non riesca a vendere acqua nel deserto. Fa piacere, in fondo le facce toste a me sono simpatiche, e non porto rancore, solo buona memoria. Sappia però che gli toccherà occuparsi, obbligatoriamente da vincente, e magari con poco tempo a disposizione, di un Paese che vanta la metà dei beni culturali al mondo ma non riesce a sfruttare questa ricchezza. L'Italia ha 424 musei statali ma la metà dei visitatori ne visita solo otto. Chieda quanti soldi sono destinati al neo inaugurato Maxi di Roma e faccia qualche paragone che so col il Moma di New York ma anche con qualunque museo europeo.  Chieda, mi raccomando, ai suoi vecchi amici di sinistra se il costo del lavoro non sia uno dei veri problemi italiani, di quelli che bloccano risorse e paralizzano una società, e agli amici del nuovo governo perché non ha fatto nulla per intervenire drasticamente su questo costo e su quello della spesa pubblica, perché non sfida il sindacato più inutile e costoso d'Europa. Tra un anno il nostro Paese sarà passato dalla recessione alla depressione, e i disoccupati saranno milioni, non più solo giovani. Tutti al mare. di Maria Giovanna Maglie

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