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Per farsi dari soldi dai cinesi Monti critica il capitalismo

A Pechino ecco il compagno Maonti: il 'Baffo', Roberto Da Crema, ha Trovato un erede. Il prof infatti è il nuovo re dei piazzisti...

Andrea Tempestini
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Roberto Da Crema detto “il Baffo” ha finalmente trovato un erede. Il re dei venditori può dormire sonni tranquilli: uno più bravo di lui ad ammansire il compratore c'è. Peccato che di mestiere faccia il presidente del Consiglio e possa dedicare alla nobile arte dell'intortamento solo i ritagli di tempo, ma non si può avere tutto. Gli ultimi dubbi sulle qualità commerciali di Mario Monti sono stati fugati ieri. Pechino, scuola centrale del Partito comunista cinese. Il premier italiano incontra il presidente cinese Wen Jiabao e un numero impressionanti di mandarini del regime. L'occasione è delicatissima, e non a caso quella pechinese è la tappa più importante del road show montiano in Asia. C'è da convincere la Cina a investire in Italia, e mai come in questo frangente il futuro del nostro Paese dipende dalla quantità di yuan che si riuscirà a mettere in cassa. Pechino possiede il 4% del nostro debito pubblico (suppergiù 1.900 miliardi di euro) e più quella percentuale cresce e meglio è. In brutale sintesi, lisciarsi i cinesi è una questione vitale. E qual è il modo migliore per lisciarsi i cinesi? Facile, dire che il capitalismo fa schifo. Ed è quanto Monti fa con impeccabile puntualità. Premesso che «vengono un po' i brividi a dirlo alla Scuola del Partito Comunista, ma ormai siamo liberi da pregiudizi», il premier manda subito in sollucchero la platea spiegando che «in parte la crisi si è creata anche per la crisi del modello capitalistico». Musica per le orecchie cinesi. E il bello deve ancora venire. Nonostante conceda che «il sistema capitalistico ha molti punti di vantaggio rispetto al sistema instaurato nell'Unione Sovietica», Monti spiega che dopo la caduta del Muro «il capitalismo è diventato monopolista» e «si è un po' rilassato e certamente negli anni '90 e nel primo decennio di questo secolo il pendolo storico ha visto un eccessivo predominio dell'impresa, del capitale a scapito dei poteri pubblici e del lavoro, della deregolazione a scapito della regolazione e così via». Conclusione: «Andiamo alla crisi del sistema capitalistico non perché ce ne sia uno migliore ma perché non si è fatta la necessaria manutenzione disciplinante». In platea, si spellano le mani. E ne hanno ben donde: un governante occidentale che viene a domicilio per spiegarti che il capitalismo non funziona non è cosa da tutti i giorni. Così, quando Monti passa all'incasso invitando la Cina a comprare italiano per essere «una sorta di azionista e partner nella trasformazione dell'economia italiana» e fare sì che «l'opinione pubblica italiana vi veda più vicini», le reazioni suscitate sono le più favorevoli. L'obiettivo - si diceva - è strategico, e per portarlo a casa è vietato andare per il sottile. Vista con le lenti della realpolitik, la strategia montiana non fa una piega: dire al compratore ciò che quest'ultimo vuole sentirsi dire è, da sempre, la migliore strategia commerciale a disposizione. Avere un premier tanto abile nel metterla in pratica non può che essere confortante. Così come lo è notare che, in materia, l'attuale inquilino di Palazzo Chigi ha fatto tesoro degli insegnamenti del predecessore e ha capito l'importanza di andare in giro con il sole in tasca. Se poi è quello dell'avvenire, alla fine cambia poco. di Marco Gorra

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