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Parlano i marò prigionieri in India "Vi raccontiamo la nostra verità"

Gli italiani dal carcere di Trivandrum: "Scesi dalla nave perché ci è stato detto di farlo. Ai figli abbiamo detto tutto. Proviamo dolore per i pescatori"

Matteo Legnani
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Parlano per la prima volta, a oltre un mese dal "giallo" dei pescatori morti al largo delle coste indiane, i due marò tenuti prigionieri a Trivandrum. Lo fanno in un'intervista pubblicata oggi sul quotidiano la Repubblica. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone dicono innanzitutto che "per i due pescatori dispiace a prescindere, al di là di come siano andate davvero le cose. Ma - aggiungono - ci dispiace per loro allo stesso modo in cui ci dispiace della morte di altri cinque pescatori indiani morti in un incidente con una nave pochi giorni dopo". Il loro pensiero va poi ai figli che li aspettano a casa: quattro quelli di Latorre e due quelli di Girone. "I più grandi hanno capito da soli quanto stava accadendo, mentre i piccoli liabbiamo tenuti al riparo. Ma, visto che le piazze d'Italia sono piene di notre foto, la psicologa ci ha consigliato di spiegare anche a loro quel che stava accadendo" dice Latorre. Di quel tragico pomeriggio in cui è cominciata la loro odissea, raccontano di essere scesi dalla nave Enrica Lexie "perchè, semplicemente, ci era stato chiesto di farlo". Riferiscono di essere "trattati bene" e ringraziano "tutti coloro che in Italia stanno seguendo la nostra storia e coloro che stanno lavorando per la nostra liberazione". E alla domanda se si sentano responsabili di quanto accaduto replicano: "Ci dispiace che abbiano perso la vita due persone allo stesso modo come ci dispiace della morte di altri cinque pescatori indiani in un incidente con una nave pochi giorni dopo. Siamo uomini di mare, le vite perse in mare ci dispiacciono sempre".

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