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Facci: il partigiano Ingroia Una toga degenerata

Procuratore aggiunto Palermo dovrebbe dimettersi o andrebbe cacciato: incarna tutto ciò che non deve essere una toga

Lucia Esposito
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Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, dovrebbe dimettersi dalla magistratura o esserne cacciato. Tutto qui. Andrebbe cacciato perché rappresenta una degenerazione del magistrato che si crede un missionario anziché un funzionario dello Stato. Andrebbe cacciato perché deve ancora dimostrare di sapere fare il proprio mestiere e non è chiaro perché lo paghiamo da 25 anni: quali successi abbia ottenuto, cioè, e a nome di quale malinteso senso di giustizia. Antonio Ingroia incarna tutto ciò che la stessa Magistratura sostiene che un magistrato non debba essere: se ne fotte del Csm, non rispetta le sentenze che lo riguardano né i giudici che le pronunciano, presenzia a talkshow e a congressi di partito, fa sparate personalizzate con ricadute politiche, attribuisce connivenze mafiose - a dispetto di ogni sentenza - a forze che furono votate da mezzo Paese, si propone implicitamente come epigono di Falcone & Borsellino e li adotta come scudo, è intimo di quella stampa, infine, specializzata nel demolire le toghe nemiche e nel cercar di condizionarne le decisioni. Il palermitano Ingroia si perde nei labirinti mentali di una Sicilia grottesca che non interessa più: in questo assomiglia a Dell'Utri, è italiano per metà ed europeo per nulla. All'estero lo chiuderebbero in una teca: «Magna Graecia Iudex». di Filippo Facci

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