Il ministro Terzi sa di non contare nulla. E lo dice pure
"Mi ero opposto al rientro della nave". Ma non ho autorità". Poi difende Londra sul blitz: e la Ashton crede che i marò siano mercenari
Chi avesse letto nelle vicende dei marò arrestati in India e dell'ostaggio italiano ucciso in Nigeria una qualche perdita di influenza della nostra diplomazia, ascoltando ieri l'intervento del ministro degli Esteri si sarà con ogni probabilità rafforzati nelle proprie convinzioni. Giulio Terzi di Sant'Agata prende la parola nell'Aula del Senato che sono quasi le cinque del pomeriggio. Premesso che «c'è forte volontà del governo di procedere in totale trasparenza per ricostruire le circostanze che hanno portato alla morte dell'ingegnere Franco Lamolinara in Nigeria», il ministro si premura subito di scagionare il governo inglese dall'accusa di avere tagliato fuori servizi ed esecutivo di Roma dalla gestione del blitz: il collega britannico William Hague ha assicurato, ha riferito il titolare della Farnesina, «la non intenzionalità della tardiva comunicazione» all'Italia del blitz in Nigeria, specificando che il ritardo non è stato dettato «dal timore che l'Italia potesse opporsi». Insomma, gli inglesi avranno anche fatto i propri comodi chiamandoci «alle 11 e 30» a blitz iniziato, ma non l'hanno fatto apposta. Questione indiana Esaurita la premessa, Terzi passa alla questione indiana. Detto che «fanno rabbrividire le immagini pubblicate su alcuni giornali locali indiani dei nostri due marò, additati irresponsabilmente come assassini», Terzi di Sant'Agata inizia a distribuire le colpe. Per primi, gli indiani: la nave Enrica Lexie su cui prestavano servizio i marò è infatti entrata nel porto di Kochi per «un sotterfugio della polizia locale, in particolare del centro di coordinamento della sicurezza in mare di Bombay, che aveva richiesto al comandante della Lexie di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati». La consegna dei marò, poi, «è avvenuta per effetto di evidenti, chiare azioni coercitive indiane» e nonostante «la ferma opposizione delle nostre autorità presenti». Non solo gli indiani, però. È colpa anche dell'armatore della Lexie, che «ha accolto la richiesta indiana di far entrare la nave in acque indiane autorizzando a deviare la rotta». L'armatore Non solo gli indiani e l'armatore, però. È colpa anche della Marina Militare, dato che «il comandante della squadra navale e del Centro operativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni» al rientro della Enrica Lexie a Kochi. Insomma, colpa di tutti fuorché del ministero degli Esteri. Davvero un peccato, considerando che secondo Terzi gli unici ad avere capito la gravità della situazione erano stati proprio gli uomini della Farnesina: una volta che la nave era entrata nel porto di Kochi, «ci siamo opposti» alla discesa a terra dei due marò. Solo che l'opposizione ha lasciato il tempo che ha trovato: la verità è che «da ministro degli Affari Esteri non avevo titolo, né autorità, né influenza per modificare la decisione del comandante della Enrica Lexie». «Pur tuttavia», ha aggiunto, «ho avuto subito la convinzione che fosse urgente affermare la nostra opposizione alla pretesa indiana ad avere diritto esclusivo ad avviare accertamenti, inchieste e interrogatori». Ci si potrebbe consolare pensando che, almeno, l'Europa ci dà una mano. Ieri mattina Monti ha incontrato l'alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, dalla quale ha incassato la promessa di aiuto da parte di Bruxelles nella vicenda dei marò. L'entusiasmo è però durato assai poco, giusto il tempo per la Ashton di dare l'annuncio alla stampa mediante nota ufficiale. Dove c'è scritto, tra le altre cose, che va rivisto l'impianto legale che regola «l'ingaggio di guardie di sicurezza armate su navi che trasportano merci sensibili». Dossier Italia-India A quel punto arriva la nota di Monti che specificao che non di guardie private si tratta bensì di «personale delle Forze armate» e che di fatto interviene a correggere la collega. A quel punto gli uffici della Ashton mettono mano alla nota e ne producono la versione corretta, dove si parla di «vessel protection detachment» e dove si mostra di avere capito la differenza tra militare e contractor. Che meno che mai in questa situazione è questione di lana caprina: il diritto internazionale, a livello di immunità, distingue nettamente tra soldati ed operatori privati, e per questo motivo lo status di militari in servizio di Latorre e Girone è il cardine della linea difensiva italiana. Peccato che di questo dettaglio la Ashton, o chi per essa abbia gestito il dossier Italia-India, non pare avesse avuto lontanamente idea. di Marco Gorra