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Anche Zucconi non sta bene Paragona Bush a Erode
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La firma di Repubblica parla della carneficina del marine Usa in Afghanistan: tutta colpa di George W., Obama non c'entra
Poche parole assicurano la manutenzione oscillante di un pregiudizio medio come la prosa di Vittorio Zucconi. L'innamorato cantore dell'era Obama è riuscito, nello spazio di un weekend, ad addossare a George W. Bush la responsabilità dell'immane massacro compiuto da un marines (o forse più) in Afghanistan, a non nominare il presidente in carica e a scrivere che si tratta di un atto della «nostra jihad». Zucconi un paio d'anni fa scriveva che «la scelta di accrescere l'occupazione dell'Afghanistan [...] è sicuramente dentro la storia e la tradizione e la cultura americana nell'accettare la tragica necessità della guerra». Era, l'Obama di battaglia che non scappava e vinceva il Nobel, un «soldato riluttante», il «“sergente York” interpretato da Gary Cooper, strenuo obiettore di coscienza e pacifista che, costretto in trincea, impara a uccidere e a sconfiggere il nemico. E sa che la strada per ogni pace è sempre, nella storia umana, lastricata dalla guerra». Ci dev'essere una profonda coerenza nel dire, qualche ora dopo la strage: «Via, via, via subito, ieri, non domani». L'invito al ritiro dall'Afghanistan Zucconi lo affida al sito di Repubblica.it: «Quello che è accaduto è la conseguenza inevitabile di guerre demenziali condotte su premesse demenziali [...] da quegli imbecilli arroganti e supponenti chiamati neo-con che condizionarono un debole e ignorante Giorgino II, uno sbruffoncello texano senza palle, tutto cappello e niente cavallo». Il marchio della legittimazione internazionale sull'intervento in Afghanistan - per anni vantato come esempio di multilateralismo applicato - è un ricordo cancellato, così come il rafforzamento della missione voluto da Obama: «[...] non facciamo finta di non sapere e non vedere che cosa succede quando si combattono guerre per ragioni ideologiche, religiose o politiche, tinte da segrete ma visibilissime motivazioni razziali». Quali? Per saperlo occorre leggere Repubblica: «Quanto è accaduto [...] non è l'eccezione, è la normalità [...]». Fino all'inaudito: «Si piange su vecchi, donne, bambini, civili di ogni età caduti, come se da decenni essi non fossero affatto il “danno collaterale”, “l'errore” del quale scusarsi, ma l'obbiettivo principale degli attacchi». E giù paragoni acrobatici con Coventry, Dresda, Nagasaki (Nagasaki!). Ad apprezzare gli svolazzi schivandone la gravità, uno quasi si diverte. di Martino Cervo
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