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Bossi, che caos al congresso: più schede che votanti

Il Senatùr costretto ad annullare l'assise leghista di Varese che nomina i delegati per il rinnovo dei vertici lombardi

Giulio Bucchi
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L'unica nota lieta arriva dal congresso piemontese: Roberto Cota è stato confermato al timone del Carroccio senza spargimenti di sangue. È tutto il resto che fa accendere spie d'allarme sul cruscotto di via Bellerio, a partire dalla roccaforte di Varese: l'elezione dei delegati per rinnovare i vertici della Lega Lombarda è stato clamorosamente annullato per brogli. È successo che nelle urne sono spuntate più schede degli aventi diritto al voto. Un vero e proprio terremoto, che il segretario provinciale Maurilio Canton (imposto da Umberto Bossi in persona) farà fatica a gestire. Ma non è finita, perché anche a Verona il clima è pesantissimo: il sindaco Flavio Tosi insiste nel voler presentare la sua lista mentre il Senatur gli ripete di no. E poi. In tutto il Nord, tensioni col Pdl sulle alleanze. Il Senatur ha addirittura confessato che il Cavaliere gli «fa pena» perché sostiene il governo Monti. Fermento nella base leghista in Lombardia, con le truppe di Roberto Maroni che si sentono in tasca la maggioranza dei delegati in vista del congresso nazionale in programma l'1, 2 e 3 giugno. Il tutto mentre è caldissima la vicenda di Davide Boni, il presidente del consiglio regionale del Pirellone accusato di corruzione e che oggi il centrosinistra cercherà di impallinare, anche se tecnicamente non esiste una mozione di sfiducia. L'interessato non ha ancora deciso se parlerà in Aula. Ieri, vertice teso in via Bellerio per decidere il da farsi. Il timore è che, con l'arma del voto segreto, il Pdl possa sgambettare l'esponente leghista. Ma così facendo ci sarebbero ripercussioni gravissime sulla giunta di Roberto Formigoni. È la cronaca delle ultime 48 ore in casa Lega. Andiamo con ordine. Domenica, a Bossi è andato di traverso il cappuccino per l'intervista a La Stampa del maroniano Tosi che chiede di schierare una sua lista. Il leader taglia corto: «Se la fa, è fuori dalla Lega». Al congresso piemontese che incoronerà Cota, un delegato porta all'ex ministro delle Riforme la foto del sindaco veronese con la scritta “traditore”. E Umberto osserva: «Alle Amministrative andiamo soli, decido io se ci sono eccezioni». Eppure a Cuneo città (nella zona la colonna del movimento è la presidente della Provincia Gianna Gancia, compagna di Roberto Calderoli) i padani pensano di schierare l'assessore regionale all'Agricoltura Claudio Sacchetto e più d'uno non vedrebbe male l'alleanza col Pdl, almeno al secondo turno, per blindare la vittoria. Quadro completamente diverso nella già citata Verona, dove la Lega correrà contro tutti e Tosi - gira e rigira - s'è quasi rassegnato a presentare una lista senza il suo nome ma farcita di fedelissimi. «È come avere una Bmw con un marchio meno prestigioso» si lamentano alcuni seguaci del primo cittadino, mentre da Maroni a Matteo Salvini scattano gli appelli per trovare una «soluzione ragionevole» a un braccio di ferro che si sta trascinando da mesi. «Non c'è bisogno di una lista Tosi» frena, da Roma, il senatore ed ex sindaco di Lecco Lorenzo Bodega. L'amministratore scaligero non ha ancora visto Bossi e non ci sono appuntamenti fissati nei prossimi giorni. Il clima è da saloon. I militanti, per consolarsi, possono trangugiare le dichiarazioni bellicose dei dirigenti. Dopo il «Berlusconi mi fa pena» firmato Bossi, ieri Maroni non è stato da meno. Il Cavaliere - ha detto l'ex titolare dell'Interno - «è una persona che rispetto perché da parte sua, quando io ero ministro, c'è sempre stato il massimo sostegno alle mie richieste  e alle mie iniziative, ma la sua decisione di schierarsi con il   governo segna la fine di un ciclo politico». E poi: «Non bisogna dimenticare che le persone passano ma gli   ideali restano e per noi il nostro progetto, il nostro punto di   riferimento è la Padania indipendente. Questo è il nostro obiettivo,  non le alleanze che per noi non sono il fine ma il mezzo». Parole che allargano il solco con gli alleati, che per bocca di Angelino Alfano avevano mandato segnali mielosi ai lumbard, per esempio sul caso Boni. E che avevano scongiurato Bossi di non rompere in vista delle Amministrative. Invece, ieri, Fabrizio Cicchitto sbuffa e allarga le braccia. «Mi auguro che i sindaci della Lega facciano riflettere i dirigenti del Carroccio rispetto ad una linea che mi sembra sbagliata». di Matteo Pandini

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