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Facci: ecco chi è De Pasquale, pm campione di fallimenti

La carriera della toga che accusava Berlusconi al processo Mills: dal suicidio di Cagliari durante Tangentopoli al "confino" per Colucci

Giulio Bucchi
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Il proscioglimento per prescrizione era stato richiesto dalla difesa in subordine all'assoluzione piena: e basterebbe questo a decretare vincitori e vinti. O forse bastava il sorriso dell'avvocato Ghedini, o meglio ancora:  bastava la faccia del pm Fabio De Pasquale, che non si capisce neanche che cosa sperasse di ottenere. Forse una condanna «morale»: come se il sistema penale servisse a questo. I giudici non hanno deciso sul merito, ecco tutto: sicché per appiccicare a Berlusconi lo status di «corruttore» (che i suoi nemici, tanto, gli attribuivano già) occorre riesumare la Cassazione del processo Mills (il primo) laddove l'avvocato inglese in effetti figura corrotto: dimenticando che però Berlusconi, in quel processo, non era imputato, anche perché nessuno può essere processato due volte per lo stesso reato. Pare invero pretestuoso anche appellarsi all'ennesima legge ad personam: la norma che ha accorciato la prescrizione (da 15 a 10 anni, in questo caso) è del 2005, prima ancora del rinvio a giudizio e due anni prima che il processo, tra un rinvio e l'altro, cominciasse effettivamente. Significa, non fosse chiaro, che non è mai esistito il minimo dubbio - sin dall'inizio - sul fatto che sarebbe finita così: ci si poteva soltanto accapigliare sulla data precisa della prescrizione, ma non su di essa. Il primo novembre 2006, senza particolari doti divinatorie, lo scrivente la mise così: «L'ottavo rinvio a giudizio per Berlusconi su tredici tentativi non andrà a finire da nessuna parte: la prescrizione è pressochè garantita». Prescrizione che perciò non può certo definirsi un «incidente», e che pone dubbi retorici circa una giustizia che a fronte di tre milioni di arretrati butta via tempo e soldi e stipendi (quelli dei magistrati) per inseguire una prescrizione certa, un proscioglimento certo, e tutto per il puntiglio di toghe ad personam. Tra l'altro c'è il forte rischio che non sia ancora finita, visto che le difese paiono decise a impugnare la sentenza - per ottenere l'assoluzione piena - e così pure il pm ha detto che «valuterà» se ricorrere in Cassazione. La follia potrebbe continuare, insomma: ma qui meriterebbe un discorsetto personale il pm Fabio De Pasquale, se non fosse che ha la querela facile. Occorrerebbe chiedersi, tuttavia, che cosa sarebbe di un pm come lui se fossimo negli Usa, laddove la carriera dell'accusa è commisurata ai successi che ottiene. De Pasquale, per dire, nei primi anni Novanta fu capace di mettere d'accordo l'intero Parlamento a margine di un'inchiesta sui fondi neri Assolombarda, quando l'intero emiciclo - sinistre e forcaioli compresi - respinse  le richieste di autorizzazione a procedere per due deputati liberali e due repubblicani: l'intento del pm fu giudicato «persecutorio» dall'intero arco costituzionale. Poi ci furono le frizioni col Pool e in particolare con Di Pietro: litigarono per la gestione dell'indagato Pierfrancesco Pacini Battaglia (Di Pietro, accentratore, lo voleva tutto per sé) sino a un litigio furioso nel tardo settembre 1993, quando un certo latitante, Aldo Molino, sbarcò a Linate e si consegnò a Di Pietro nonostante fosse ricercato da De Pasquale. Volarono urla. È  lo stesso periodo in cui il pm condusse anche la chiassosa indagine sul regista Giorgio Strehler (chiese la pena massima, ma Strehler fu assolto con formula piena) e così pure l'indagine sui fondi Cee, roba con percentuali di assoluzione mostruose. Pochi ricordano quest'ultimo caso, eppure fu cornice di uno degli episodi più raccapriccianti del periodo di Mani pulite, stigmatizzato anche dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: l'indagato  Michele Colucci, socialista, fu ammanettato e trascinato nella calca dei giornalisti sinché svenne; in precedenza De Pasquale aveva ottenuto per Colucci il provvedimento addirittura del confino, soluzione adottata di norma per i mafiosi. Arrestato, le condizioni del detenuto sessantenne si fecero drammatiche (come svariate perizie mediche confermarono) ma l'atteggiamento di De Pasquale rimase durissimo, tanto che fece di tutto per farlo finire comunque a San Vittore anziché in ospedale. La figlia di Colucci, giornalista della Rai, fece un pubblico appello che fu raccolto da politici e da giornalisti anche noti, come Gad Lerner. Nonostante la ferocia dell'opinione pubblica di quel periodo, alla fine Colucci, da poco trapiantato di  cuore, ottenne gli arresti domiciliari per quanto strettissimi. Dopo nove mesi di carcerazione detentiva, alla fine, il pericoloso criminale potè uscire: sarà assolto in Cassazione. Un altro successo di De Pasquale. Poi c'è il noto caso di Gabriele Cagliari, celebre indagato di Mani pulite. Dai verbali del suo legale, Vittorio D'Ajello: «Il dottor Fabio De Pasquale, alla fine dell'interrogatorio, disse al Cagliari che avrebbe dato parere favorevole alla sua libertà, affermando espressamente rivolto al Cagliari: “Lei me l'ha messo in culo, ma io devo liberarla”». Gli ispettori ministeriali, senza punire il magistrato, conclusero: «Il dott. De Pasquale, con espressioni non consone, ha tenuto dei comportamenti certamente discutibili (...) soprattutto per avere promesso a un indagato che era in carcere da oltre centotrenta giorni, di età avanzata e in condizione di grave prostrazione psichica, che avrebbe espresso parere favorevole (...) e di avere invece assunto una posizione negativa senza però interrogare nuovamente lo stesso indagato, impedendogli, così, di fatto, di potersi ulteriormente difendere. È  mancato quel massimo di prudenza, misura e serietà che deve sempre richiedersi quando si esercita il potere di incidere sulla libertà altrui». Cagliari si ammazzò in carcere, per chi non lo ricordasse: dopo che De Pasquale gli aveva pronmesso la liberazione e invece se n'era partito per le ferie estive, fra Capo Peloro e Punta Faro, Sicilia orientale. Poi via, verso nuovi insuccessi. Tipo quello di ieri. di Filippo Facci

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