Mughini: il vizio dei potenti che si chiama querelite
I giornalisti non finiscono nei guai solo quando sbagliano. Dopo il caso Fiat basta esprimere un'idea per finire in tribunale
Una proposta piccola piccola ad aggiornare il dizionario della lingua italiana. Introdurvi il termine “querelite” a dire la smania diffusa di querelare chiunque ti abbia dato un colpo negli stinchi, ad esibire il fatto che tu lo vuoi morto e chiedi euro a centinaia di migliaia a proteggere il tuo onore violato. Ho detto colpo negli stinchi, insinuazione maliziosa, opinione di chi non ti stima e non ti trova sexy, giudizio altamente negativo su un tuo film o un tuo libro o una tua fidanzata, “buffetto” alla Zlatan Ibrahimovic (troppe tre giornate!), affermazione sbagliata che tu hai tutto il diritto di rettificare e di cui il colpevole ha tutto il dovere a raccogliere la tua verifica. E non che io sia dell'opinione di Lucia Annunziata, che la libertà di straparlare sia totale e tu possa dire qualsiasi scemenza senza pagarne il fio. Nemmeno per sogno. Tu hai tutto il diritto di dire che Maurizio Belpietro e Massimo de' Manzoni ti stanno antipaticissimi. Però se hai scritto che loro due molestano sessualmente la loro colf o che li hai intercettati nel mentre che loro incassavano la “mazzetta” da qualche figuro, o lo provi o paghi gli euro. Se in punta di fatto l'ha sparata grossa, allora sborsa gli euro perché non c'è “libertà di espressione” che tenga. M'è venuto in mente di parlare della malattia chiamata “querelite” a partire da una notizia che ho letto su Dagospia, un sito dove di calci agli stinchi dell'universo mondo se ne tirano un migliaio al giorno. Uno lo hanno tirato di recente a una parlamentare di An, la quale ha subito scritto a Dagospia correggendo e smentendo, e persino con una certa eleganza. Va bene così, ho pensato. E invece no, sembra che all'indomani sia arrivata una lettera dell'avvocato della parlamentare con tutto l'annesso corredo di minacce di querela. Così pure, non è che io sia pazzo di come i giornalisti del il Fatto Quotidiano (un ottimo giornale!) ce l'abbiano duro duro per tutte le 24 ore della giornata. Epperò spero non sia vero quello di cui ha parlato Marco Travaglio in un suo editoriale di un paio di giorni fa, e cioè che il ministro Paola Severino ha minacciato di querelarli per avere subito da quel quotidiano qualche calcio negli stinchi. Spero ardentemente che non lo faccia. Milena Gabanelli, una giornalista che è stata querelata più volte da quelli cui lei sferra calci negli stinchi nelle sue trasmissioni televisive, e che in tribunale è risultata poi vincitrice nella grandissima parte di quelle contese, ha ricordato di recente che la legge italiana è particolarmente tenera nei confronti di chi intenta una causa “temeraria”, di chi ti querela e poi perde perché la sua querela non aveva alcun fondamento di fatto. Filippo Facci ha ricordato due giorni fa il suo caso, d'essere stato querelato in una causa multimilionaria dalla Rai per averne scritto malevolmente e alla maniera sua. Milioni di euro per avere espresso un'opinione per quanto malevola? E arriviamo alla questione Fiat vs. Rai-Formigli, con quella gran condanna a pagare la bellezza di sette milioni di euro all'azienda torinese. Premetto che non avevo visto la puntata di Annozero in cui si diceva che una certa auto Fiat facesse bell'e schifo se raffrontata a due auto rivali. Dalla sentenza mi pare di aver capito che in quella trasmissione siano stati utilizzati scorrettamente alcuni dati oggettivi relativi al funzionamento dell'auto Fiat. Mi stupisce che un giornalista accorto come Enrico Mentana abbia un tantino difeso Corrado Formigli con lo strano argomento che Formigli paga le tasse in Italia e Sergio Marchionne no, un argomento che vale un po' meno di zero. E con tutto questo mi pare che una condanna a pagare sette milioni di euro sia strabordante, e forse una sentenza e una notizia del genere non giovano poi così tanto all'immagine dell'azienda madre della storia industriale italiana. A paragone gli eventuali colpevoli che cosa dovrebbero pagare per l'affondamento di quella nave innanzi al Giglio e a causa del quale sono morte annegate trenta persone, tra cui una bambina di cinque anni? Dimenticavo l'essenziale. Quel che succede davvero, nei meandri della comatosa giustizia italiana, quando tu quereli qualcuno a essere risarcito e ripagato di un'offesa che ti è stata fatta. La causa la più semplice, quella che ci vorrebbero al massimo quindici minuti a decidere se sì o no, con i ritmi della giustizia italiana dura sei o sette anni. Uno che s'è sentito leso nell'onore da una riga che lo riguardava e che faceva parte di cinque pagine che gli avevo dedicato in un mio libro, ha querelato me e la casa editrice che aveva pubblicato il libro. Ha chiesto a entrambi un risarcimento di 500mila euro, un milione in tutto. È una causa che va avanti da due anni e di cui è prevista la sentenza di primo grado fra 7-8 mesi. Non che nel frattempo sia successo qualcosa in tribunale. Niente di niente. E del resto a decidere se sì o no sarebbero bastati quindici minuti, il tempo di leggere le cinque pagine di cui ho detto. Quindici minuti in tutto. E invece scartoffie a cataste, soldi agli avvocati, tribunali ulteriormente intasati, eventuali chiacchiere a rinfocolare la polemica. PS - Confesso che una volta ho razzolato male. Un giornale che mi era ostile aveva pubblicato un articolo - firmato con uno pseudonimo - in cui si diceva a proposito del mio essere ospite in una trasmissione televisiva Mediaset che avevo “l'aria di uno spastico”, che ero talmente “ripugnante” che gli ospiti invitati a quella trasmissione si rifiutavano di venirci e che la situazione si era fatta tale che Silvio Berlusconi in persona aveva deciso di congedarmi e che però doveva pagarmi una buonuscita, ciò di cui l'autore dell'articolo era terribilmente contrariato. Ora, non era vero niente. Non che io non fossi “ripugnante”, tutto il resto. Portai l'articolo a un avvocato romano celeberrimo. Non credeva ai suoi occhi. Querelammo. Una causa che doveva durare al massimo dieci minuti. Durò un paio d'anni sino alla sentenza di primo grado in cui il giudice disse che l'articolo che io avevo impugnato era un articolo di satira, un articolo scritto benissimo. Mi condannò a pagare le spese legali della controparte. Una lezione di giurisprudenza la sua. E difatti la prossima volta che qualcuno dirà di me che ho l'aria di uno spastico e che sono ripugnante, mi guarderò bene dal querelarlo. Andrò ad aspettarlo sotto casa. Questa sì che è giustizia. di Giampiero Mughini