Celentano Nuovo sermone del Molleggiato Attacca la Chiesa e la Rai in mano ai partiti
Adriano va da Santoro e ripete la predica: "Non sanno cosa sia il paradiso". E sulla parcella milionaria: "Non erano soldi dei contribuenti"
È qui la festa. E faremo meglio a «non allontanarci da dove c'è la festa» perché «lì soffia il vento del creatore». E se dal Vaticano vi dovessero dire che la festa è un'altra, non date retta: «In Vaticano non sanno che cosa è il paradiso». Adriano Celentano, una settimana dopo il quarantotto di Sanremo, torna in video. Intervistato da Guido Ruotolo per il programma Servizio pubblico di Michele Santoro, il Molleggiato consegna alle telecamere dieci minuti di puro surrealismo. Esaurito il preambolo sulla festa (che, si badi bene, «non è una favola ma è vera»), Celentano torna sulle proprie recenti controversie. A partire da quella sulla stampa cattolica: Avvenire e Famiglia cristiana (di cui era stata invocata la chiusura dal palco dell'Ariston) magari potranno pure sopravvivere, ma «sono inutili per la Chiesa e per me rimangono inutili finché non cambiano linea editoriale». A proposito di stampa, da registrare l'ingresso di Sorrisi & Canzoni nei ranghi della macchina del fango. Colpa del servizio sul parroco di Galbiate e sulle offerte alla chiesa negate dal Molleggiato: «Una meschina manipolazione», la definisce. «Non cambierei una virgola di quanto ho detto a Sanremo», garantisce sottolineando che «bisognerebbe fare un monumento a Mazzi e Morandi per come hanno fatto il Festival, è stato un successo». E chi non è d'accordo se ne faccia una ragione. A partire dalla Rai, che ha «un errore nel meccanismo di conduzione, coi poartiti che se la litigano». Lo stesso dg Lorenza Lei, sostiene Celentano, «subisce pressioni dai partiti di destra e di sinistra». Dovranno rassegnarsi anche a Repubblica, «che ci ha dato dentro mica male per bloccare la mia partecipazione al Festival dicendo che sono cretino. A me piaceva essere un cretino di talento, perché così cretino ha un significato magistrale, come dire pazzo di talento o porco di talento». Ma i giornalisti «servi del potere non vengono considerati cretini di talento, hanno un talento cretino». Dovranno rassegnarsi Mara Venier ed Irene Pivetti, «che siccome pagano il canone poi vogliono che Celentano faccia quello che è stato chiamato a fare. Ma che è? Il festival delle specializzazioni? Se mi chiamano è perché faccio tutto: canto, ballo, parlo, aggiusto gli orologi». E dovremo rassegnarci noialtri contribuenti: «Non poteva mancare la stronzata sventolata da politici di An e del Pd secondo cui faccio beneficienza coi soldi del contribuente», premette il Molleggiato. Che poi si lancia nella mirabolante argomentazione che segue: «Che colpa ne ho se sono tra i più pagati d'Europa? A quelli della Rai ho chiesto di essere pagato meno, ma mi hanno risposto che non si poteva perché io ho una quotazione di mercato». In forza della propria quotazione di mercato, Celentano conclude che «i soldi che la Rai mi dà non sono del contribuente ma sono miei». Ad ogni buon conto, c'è speranza per il futuro. «C'è un cambiamento dell'aria che sta diventando tempesta», assicura il Molleggiato in versione Bernacca, «alle prossime elezioni potrebbero esserci grosse sorprese» perché «la gente capisce che non vai da nessuna parte se non prendi con forza la via dell'onestà». E non si pensi che il discorso riguardi solo i politici: «Vale anche per i commercianti che non fanno lo scontrino. Devono capire che se vanno avanti così i primi a subirne le conseguenze saranno loro». Ma il giustiziere, per fortuna, è all'orizzonte: «Uno come Beppe Grillo che crea un movimento di trasparenza e arriva al 5% ci fa sperare che forse riusciremo a toglierci di dosso la patina oscura tipica dei furbi». «Con Sanremo hai chiuso?» gli fa Ruotolo alla fine. «Penso di sì», ribatte Celentano. Pausa. Sospirone. «E però non è un problema. Il successo è bello e gratificante ma non ha nulla a che vedere con la felicità che si prova in una partita a bocce con quattro amici». O con la felicità che si prova a non dover stare sentire gente come Celentano. di Marco Gorra