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Pansa: Che pena il Festival Litigi, prediche e patonze

Sanremo è il termometro del nostro declino: non riusciamo nemmeno ad allestire un modesto avanspettacolo

Andrea Tempestini
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  Le mutande. Anzi, le mutandine. Meglio ancora, il mini slip destinato a celare soltanto quel triangolo che non è elegante mostrare in pubblico: la verdura, la chiamava mia nonna Caterina. Era coperta o no la verdurina di Belen Rodriguez la sera della sua bombastica apparizione al Festival di Sanremo? E' quello che si sono chiesti milioni di italiani, grazie alla diretta televisiva di mamma Rai. Di che cosa può discutere un paese? Con questi chiari di luna, gli argomenti sono infiniti. Li troviamo sulle prime pagine dei giornali: il lavoro, il futuro dei giovani, il presente delle famiglie, la riforma della politica, e qui mi fermo poiché i lettori di “Libero” ne sanno più di me. Però non esiste questione che abbia acceso la verve degli italiani quanto la patonza di Belen e l'invisibile copripatonza. Sia chiaro che non ce l'ho con Belen. Come succede ad altre star dello show businnes, la patonza (il copyright sembra essere dell'immortale Cavaliere) anche per lei è un ferro del mestiere. Se ha deciso di mostrarla a milioni di ammalati di tivù, la colpa, o il merito, non è suo. Ma di chi l' ha spedita sul palco di Sanremo. Ossia dell'alto comando Rai. Un insieme di signore e signori ormai alla frutta dei quali parlerò alla fine del Bestiario. Tuttavia, la questione emersa a Sanremo non è certo la cosina di Belen. Bensì il relativo dibattito che ha impegnato un numero sterminato di italiani. Ricacciando sullo sfondo le sparate di Adriano Celentano. Anche se il vaniloquio del Molleggiato ci ha aperto un altro spiraglio sulla decadenza inarrestabile dell'etnia italica. Sempre in lotta con i selvaggi che arrivano in casa nostra da tutto il mondo, ma incapace di riconoscere che i veri alieni siamo noi, gli italiani di razza pura. Fra le tante scempiaggini che Adriano ci ha offerto, dietro compenso adeguato, c'era la proposta di chiudere due giornali che non gli piacciono: “Avvenire” e “Famiglia cristiana”. Penso che, al tavolo dell'osteria, tutto sia lecito. Celentano è convinto che Sanremo sia la sua mescita personale. Buon per lui, un po' meno per la Rai che lo strapagato per fare l'ubriaco in pubblico. Mi ha colpito, invece, che molti degli ospiti presenti a Sanremo abbiano applaudito la richiesta di un imbonitore da baraccone, un tempo amato come cantante. Si può battere le mani con entusiasmo davanti alla proposta di soffocare due voci ascoltate da tanti lettori? Non è influente il fatto che siano testate cattoliche. Celentano mi avrebbe fatto schifo anche se avesse chiesto la chiusura immediata dell'“Unità” o del “Manifesto”. Ma gli applausi di gran parte del pubblico dell'Ariston mi sono sembrati un'altra conferma dello stato comatoso di quella che chiamiamo ancora “opinione pubblica”.   Lascio perdere gli insulti che il Molleggiato ha sparacchiato contro Aldo Grasso, il critico televisivo del “Corriere della sera”. Sono un suo lettore da molto tempo e lo considero il numero uno dei professionisti che si occupano di tivù. Però anche questa smarronata di Adriano prova che l'Italia è ridotta all'ablativo. Siamo sempre stati un paese di litiganti, abituati al botta e risposta. Ma adesso siamo diventati un paese di intolleranti, dove chi riceve le botte deve incassarle in silenzio e non ribattere. Chiudere giornali sgraditi, insultare un critico che non ti piace e farlo sotto lo scudo della Rai, che dovrebbe essere la più importante istituzione culturale del paese: che cosa esiste di peggio? Esiste soltanto un atteggiamento da regime autoritario. Possono parlare soltanto i cocchi del regime in sella. Una legge scritta dai pennacchioni in grado di decidere: tu esisti e hai diritto allo sproloquio, tu non esisti e devi tenere la bocca chiusa. E' un sistema di esclusione che ho provato anch'io, sulla mia pelle. E vi garantisco che è molto efficace.  Le dittature soffici cominciano tutte con questo primo passo. Sanremo, in qualche modo, ce lo conferma ancora una volta. Tuttavia il Bestiario non appartiene alla schiera di chi sostiene, con mille motivi: chiudiamo il Festival di Sanremo e inventiamoci qualche altro spettacolo. Meno sgangherato, meno volgare, meno da painacchi, come venivano chiamati dalle mie parti i villani rifatti, quelli con tanti soldi e poco stile. La mia opinione è che Sanremo debba andare avanti, per anni e anni, sempre così. E sapete perché? Perché è il termometro della nostra decadenza, l'indicatore più schietto della nostra inferiorità sociale e culturale. Mi ha colpito la telefonata di un amico che si solito non guarda la tivù. Diceva, costernato: “Non credevo che fossimo ridotti fino a questo punto. Un paese cialtrone e ignorante, incapace persino di allestire un modesto avanspettacolo”.  Diverso è il discorso a proposito sulla Rai. E' possibile che Sanremo sia la pietra tombale del baraccone radiotelevisivo di Stato. Leggo che il governo Monti si prepara a incidere questo bubbone. Mi auguro che sia vero e che i Professori non si limitino alle buone intenzioni. Il colosso, o ex colosso, di viale Mazzini non regge più. Essendo un figlio della Casta politica, ne ripete i difetti, ingigantiti. E'una dittatura di cartapesta che ha per unico obiettivo quello di perpetuare la propria esistenza. La nomenklatura della Rai è interessata soltanto a durare nel tempo. E lo fa tagliando le gambe a tutti coloro che non hanno amici nel bunker dei partiti in agonia.  Anche in Rai esistono eccellenze professionali che potrebbero fare bene e molto. Ma non possono muovere un passo perché il vertice aziendale, e i suoi annessi e connessi, bloccano tutto. Il governo Monti deve levare questo tappo e mandare a casa il presidente, il direttore generale e tutti i colonnelli che, insieme, tengono in vita un sistema ormai in cancrena che non regge più.  Si parla tanto di riforma della politica, del Parlamento, dei privilegi che blindano i partiti. Ma il primo passo deve essere cambiare il sistema di comando della Rai, e i vip che lo incarnano. Se è necessario tentare una rivoluzione pacifica, è da questo marmoreo centro di potere che bisogna cominciare. Può anche darsi che il dinosauro di via Mazzini sia imbattibile. E che neppure il governo Monti riesca a cambiarlo. Se andrà così, pazienza. L'offerta televisiva è diventata molto vasta. Infine resta sempre il “metodo Belen”. Ossia ricorrere all'arma segreta della farfalla sotto mutandine invisibili. Da che mondo è mondo, non hanno mai accoppato nessuno. Diventeremo tutti un popolo di guardoni. Speriamo soltanto che lo spread sia sensibile al fascino del triangolo in bella vista. E si abbassi, invece di alzarsi. di Giampaolo Pansa    

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