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Caos tedesco, colpo duro nella guerra degli stereotipi

La Germania traumatizzata per il passo indietro di Wulff. E ora come la mettiamo con chi ci sfotteva per Schettino?

Andrea Tempestini
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Una giornata di fuoco, per Angela Merkel, venerdì 17 gennaio. I precisissimi teutonici, popolo senza macchia (in teoria) hanno assistito sconvolti alle dimissioni del presidente Wulff, costretto al passo indietro per aver ricevuto un prestito illecito da mezzo milione di euro per acquistare un'abitazione. Si tratta dello stesso Wulff a cui telefonò il nostro Giorgio Napolitano per comunicargli il Quirinale avrebbe voluto 'rimuovere' Berlusconi. Insomma, Wulff era considerato un interlocutore privilegiato, uno degli elementi di spicco dell'elite tedesca. E invece... E invece, Angela ha fatto "una figura di Merkel", ed è stata costretta ad annullare in fretta e furia la visita in Italia, dove era attesa da Monti. E pensare che la Cancelliera, solo una settimana fa, si pavoneggiava: "Da noi la corruzione la combattiamo con successo". Segue il commento di Martino Cervo. Se la guerra finanziaria si sposta sul terreno dello sbraco, è fatta. La sberla per la rigorista col presidente dimissionario per la più italiana delle questioni private è forte e lascerà un segno, nella crisi in cui abbiamo imparato che la percezione influenza la realtà. La buccia di banana del finanziamento di Wulff può avere molte più conseguenze della semplice soddisfazione nazionalpopolare per i teutonici che - tu guarda - rubacchiano. Tutta la forza politica dell'austerity di Berlino non può che uscirne indebolita come credibilità, per quanto comprensibilmente la sostituzione verrà venduta come immediata assunzione di responsabilità. Ma la superficiale apparenza dei professori d'Europa beccati con le mani nella marmellata se la gioca quanto a peso specifico col gol di Grosso nella semifinale 2006. Che arrivò, puntualissimo, a smontare le ambizioni tedesche di vincere il Mondiale in casa piegando gli italiani «mammoni maligni, viscidi e perennemente stanchi» (Spiegel del 27 giugno 2006). Rimanendo al passato prossimo (prima la faccenda si farebbe troppo spinosa), la pistola sul piatto di spaghetti del solito Spiegel che qualificava gli italiani come pastaioli mafiosi subisce un secco contraccolpo, aggravato dal contesto. Perché qui non ci sono più in ballo orgoglio virile, turiste da concupire, competizioni di rutti o calzature imbarazzanti. Qui ci si gioca qualcosa di più, chiamato sopravvivenza: è un gol in trasferta, quantomeno. Che arriva, tra l'altro, dopo un'altra storica copertina dello Spiegel dedicata alla Costa Concordia. In occasione della quale apparve - sull'edizione on-line - il famigerato commento di Jan Fleischhauer sugli italiani tutti Schettino. In sostanza copiava pari pari le tesi di Beppe Severgnini sui connazionali smaniosi di far «bella figura» aggiustando la realtà alla meno peggio salvo impietosi ostacoli, talvolta sotto forma di debito pubblico incontrollato, talvolta di insidiosi scogli che si mettono all'improvviso sulla rotta tracciata.  Nel cortocircuito innestatosi succede perfino che il Corriere deplori la deriva dell'informazione tedesca e se la prenda col suo editorialista per interposto crucco, ma pazienza. La grande e insaziabile prateria della guerra degli stereotipi in fondo ha sempre fatto un gran bene a tutti, perché - deplorando da un lato e fomentando dall'altro - funziona, eccita, divide in tifoserie. Come ha ricordato di recente Gian Antonio Stella, non è che la palma di primo cannone anti-italiano spetti allo Spiegel. La Süddeutsche Zeitung ha definito il Belpaese uno «stivale puzzolente», ha rappresentato l'ex premier Berlusconi come Nerone, ha descritto gli italiani come ubriaconi che «non lasciano mai la mancia». Anche la Bild  ci è andata pesante, e in fondo è una retorica che, specie in tempi di guerra dello spread, la politica se non coltiva tollera, ben più preoccupata del consenso interno che della tenuta politica dell'Europa.  Le risatine della Merkel e di Sarkò alla domanda su Berlusconi di qualche mese fa non sono figlie di un atteggiamento molto diverso. Sono una forma della stessa necessità di rappresentarsi in qualche modo migliori, e della più o meno consapevole volontà di dare un'immagine muscolare di tutela dei propri interessi commerciali e della propria affidabilità finanziaria. Per la Germania il discorso è due volte più stringente perché nell'attuale frangente Berlino è nelle condizioni perfette per fare la voce grossa, strozzando la Grecia e imponendo a colpi di austerity una camicia di forza in grado di mettere a rischio la possibilità di crescita per molti Stati, Italia compresa. È per questo che il caso Wulff, di cui i lettori di Libero sono stati messi al corrente per tempo, può essere molto pesante sia per ragioni interne (la Merkel dovrà trattare coi partiti per la sostituzione del suo pupillo) sia esterne: difficile che un incidente del genere si riduca all'annullamento della visita a Roma per il bilaterale con Mario Monti. Per la natura dello scivolone, per il rapporto politico della Cancelliera con l'ormai ex presidente, per le pressioni che sulla Germania mezzo mondo fa convergere, queste dimissioni possono davvero essere un nodo a loro modo storico. Non calcare la mano, a livello mediatico e politico, rischia di essere un'occasione persa. di Martino Cervo

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