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Equa Italia, professor Monti dimezza lo stipendio a Befera

Nessuna eccezione al tetto di 305 mila euro per i dipendenti pubblici. I tagli colpiscono anche Vegas e Calabrò

Andrea Tempestini
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Chi ce l'aveva con Equitalia e il suo gran capo, avrà la sua non piccola soddisfazione. Ad Attilio Befera sta per essere dimezzato lo stipendio. Il supermanager del fisco deve prepararsi a dire addio a circa 300 mila euro lordi sugli oltre 600 mila che oggi prende cumulando l'incarico da direttore della Agenzia delle Entrate con la presidenza di Equitalia. Il governo di Mario Monti ha deciso infatti di non concedere né a Befera né ai direttori e segretari generali della pubblica amministrazione alcuna deroga rispetto alla regola stabilita dal decreto legge salva-Italia del 6 dicembre scorso sul tetto massimo omnicomprensivo agli stipendi pubblici pari a quello del primo presidente della Corte di Cassazione. La cifra limite è stata stabilita in un dpcm appena inviato alle Camere ed è di 304.951,95 euro lordi. Befera ci perde mezzo stipendio, ma il taglio non sarà indolore anche per altre decine di grandi papaveri di Stato. Secondo il dpcm infatti dovranno sottoporsi alla riduzione dello stipendio non solo i dirigenti di ministeri ed enti pubblici nazionali, ma anche quelli della Consob e di tutte le autorità amministrative indipendenti. La tagliola scatterà anche sull'emolumento più chiacchierato che ci sia, quello rigorosamente tenuto segreto dell'intramontabile capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Vincenzo Fortunato. Si è favoleggiato di uno stipendio assai vicino al milione di euro, ma nulla è mai stato reso noto. Di sicuro Fortunato è incappato come tutti gli italiani nella decisione del 2008 presa da Vincenzo Visco di mettere on line i redditi di tutti gli italiani. Allora il suo reddito era di 788.855 euro. Dovrebbe quindi rinunciare a 483.904 euro, e forse ancora di più. I soldi risparmiati con i tagli andranno a finire nel fondo ammortamento titoli di Stato per ritirare Bot e Btp e ridurre il debito pubblico. Il regolamento per quell'operazione dovrà essere scritto dal Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, che sarà costretto a dire addio a 216.967 euro del suo stipendio. Taglio consistente anche per Raffaele Ferrara, che guida i Monopoli dello Stato e dovrà rinunciare a 176.262 euro del suo attuale stipendio, e a qualsiasi gettone per incarichi pubblici extra. Perdono 170.691 euro i presidenti di tre Autorità di garanzia: Corrado Calabrò (Agcom), Giovanni Pitruzzella (Antitrust) e Guido Pierpaolo Bertoni (Energia). I loro commissari, fra cui ci sono molti ex politici, dovranno dire addio a 91.417 euro lordi all'anno. Dovrà rinunciare a poco meno di 100 mila euro all'anno anche il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Pochi altri saranno toccati nei grandi ministeri e nelle altre agenzie pubbliche: perderà circa 84.075 euro il segretario generale della Farnesina, Giuseppe Massolo, e circa mille euro la sorella del sindaco di Roma, Gabriella Alemanno, che guida l'agenzia del Territorio. Ci rimetterà 82.048 euro all'anno il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ma il taglio sarà più consistente per il suo direttore generale, Antonio Rosati: 90.048 euro. Le vere incognite sono sull'estensione della regola anche a settori di confine con la pubblica amministrazione. Se fra gli enti pubblici sarà annoverato anche superInps, la vittima numero uno del decreto Monti potrebbe essere Antonio Mastropasqua (che è anche vicepresidente di Equitalia), che vedrebbe calare una mannaia da circa 900 mila euro. Stesso discorso per Pietro Ciucci, che guida l'Anas e che potrebbe essere costretto a rinunciare a circa 485 mila euro. di Franco Bechis

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