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Se Roma sotto la neve sembra un film comico

La capitale sembra un lungometraggio grottesco tra code chilometriche, bus in panne e obbligo di catene

Lucia Esposito
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Mortacci che freddo. Code chilometriche, autobus in panne, obbligo di circolazione con catene nemmeno fosse Stoccolma, l'hinterland senza luce e acqua. Il delirio. Tutto per una situazione - freddo polare e qualche centimetro di neve che attecchisce per mezza giornata - che il milanese medio affronterebbe in infradito e col sorriso sulle labbra. Benvenuti a Roma, versione Holiday on ice. Dove la sbiancata di ieri è stata vissuta come una tempesta di blizzard direttamente dalla Groenlandia con relativa invasione di esquimesi armati. Gente che si telefona da un quartiere all'altro: «Ma nevica pure da te? Qua ne sta a veni' giù una cifra»; negozi che all'ora di pranzo, quando arrivano i primi fiocchi, tirano giù la saracinesca sulla fiducia e appiccicano il foglio A4 con la scritta a pennarello “chiuso per neve”; mogli e fidanzate chiamate alla suprema prova d'amore per raccattare in auto gli incauti consorti che la mattina erano usciti in motorino e ora invocano il soccorso alpino; trentenni alla prima prova ufficiale da vecchi che spiegano alle giovani generazioni che questa mica sarà una nevicata seria, dovevate vedere quella dell'85. Gli unici entusiasti sembrano essere i turisti giapponesi, che scattano con gran lena e non vedono l'ora di surclassare le foto dei parenti con il loro banale sole sul Colosseo. Alemanno sepolto dalla valanga Il video di Franco Bechis Certo, Roma ha con la neve la stessa consuetudine che un seminarista ha coi rave party. Le cronache del XX secolo riportano due episodi significativi in merito (il citato '85 e, prima, nel '56). Per il resto, ciccia. Anzi, storicamente succede il contrario: l'Italia può essere nella morsa del gelo finché si vuole, può nevicare anche al Cairo, Cipro può entrare in glaciazione ma a Roma no, per qualche insondabile mistero la neve non cade mai. Della bianca rompitasche, difatti, l'indigeno ha una conoscenza, quando va bene, di seconda mano: il Terminillo (ma dipende dagli anni), Campo Felice, l'arco alpino (solo indigeni benestanti, però). L'intrusione della neve sotto casa, pertanto, viene vista e vissuta come un evento poco meno che soprannaturale. Ancora  ieri l'altro, la risposta agli annunci di incipiente imbiancata era stata vagamente incredula: «La neve a Roma? Seee...». E invece. Alla comparsa dei primi fiocchi, il romano medio ha sfoderato il proprio millenario savoir faire: «Vabbè, ma questa mica attacca. Lo vedi che fa i fiocchi grossi? Mio cognato che abita a Sondrio mi ha spiegato che i fiocchi grossi si squagliano subito». Qualche mezz'ora dopo, quando la neve si era saldata come mastice a strade e tetti, il medesimo romano medio stava già inveendo da un pezzo contro l'insipienza di amministrazione comunale, prefettura, Protezione civile e Santa  Sede: «Ma si capiva lontano un chilometro che coi fiocchi così grossi la neve avrebbe attaccato subito!». A sera, con l'emergenza momentaneamente rientrata e col manto stradale tornato accettabilmente nero, il romano rimonta sul motorino e si accinge alla traversata verso casa. Arriverà poco dopo, infreddolito e con una spolverata biancastra sulle spalle del cappotto. Crollerà sul divano con occhio sbarrato e palpitazioni, lamentando sintomi di ipotermia ed invocando la cagnetta Titina. Il telegiornale dirà che oggi si ricomincia col freddo e con la neve: «Quasi quasi mi do malato». di Marco Gorra

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