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Instagram, il twitter delle foto che ha conquistato Obama

Negli Usa spopola il social network delle immagini: niente parole, bisogna postare solo gli scatti del proprio cellulare

Giulio Bucchi
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L'ha scelto anche Barack Obama per le elezioni presidenziali 2012. Se volete monitorare il Presidente degli States minuto per minuto, basta che attiviate Instagram sul vostro Iphone o sull'Ipad e potrete vederlo in tutti gli scatti della sua campagna. Instagram è un'applicazione gratuita, facilissima e molto veloce. Anziché impiegare i 140 caratteri di Twitter, però, permette di dare un volto alle emozioni attraverso le fotografie scattate (soltanto) con il cellulare. Per poi ritoccarle mediante 16 filtri diversi e riversarle in un formato quadrato vintage tipico della Polaroid Instamatic anni '70, quella che ti forniva l'istantanea subito dopo un clic. Per il fatto di usare le immagini come una specie di alfabeto naturale, Instagram o IG sta crescendo alla velocità della luce. Il 6 ottobre 2010 l'applicazione veniva ufficialmente rilasciata in Itunes, il magazzino virtuale in cui gli utenti Apple possono andare a pescare le applicazioni da installare sui propri portatili. Nel dicembre 2010, raggiungeva già un milione di utenti. Il 27 gennaio 2011 veniva aggiunta anche la possibilità di «taggare» le fotografie in modo da renderle rintracciabili. Nel giugno 2011 raggiungeva già 5 milioni di utenti. Nel luglio 2011 Instagram aveva già catturato 100 milioni di fotografie condivise in tutto il mondo. Oggi conta circa 15 milioni di IGers, tra cui il presidente degli USa Obama, e sempre nel 2011 si è aggiudicata la palma di miglior App(licazione) dell'anno. Mica male per una dozzina di addetti a salario fisso che fanno parte di un gruppo saltato fuori dalla testa di Kevin Systrom. Il ragazzo, studente a Stanford, rifiutò di collaborare con un certo Mark Zuckerberg, il creatore di Facebook, e con il suo diploma in saccoccia sfiorò Google prima di dar vita alla sua creazione. Che oggi viene paragonata a un Twitter in immagini per quanto dell'uccellino azzurro (emblema di Twitter) abbia già fatto polpette. Il motivo è molto semplice e va individuato  nella capacità di IG di avere investito a costo zero soltanto sulle emozioni. Che gli consentono di invecchiare meno velocemente delle altre reti e di poter comunicare senza bisogno di  interpreti. Tutti i social network conosciuti - da Facebook a Twitter, appunto - si basano quasi esclusivamente sulle parole. Certo, le immagini ci sono, ma restano puri accessori. IG, invece, parte prima di tutto dai cellulari e si spalma su tutto il mondo mediante un clic. La fotografia è un'arte a sé, molto intima, e talmente speciale da avere indotto perfino un artista emozionale al massimo come Andy Warhol a dire: «Gli ho detto che non credo nell'arte, mentre ho creduto nella fotografia». È come se ogni volta l'utilizzatore usasse non uno dei filtri chimici assegnatigli da IG, ma quello più impalpabile della memoria e della commozione. IG è una specie di madeleine di Proust sempre in tasca con la quale certe atmosfere di quando eravamo piccoli tornano come per magia schiacciando un tasto. Una macchina del tempo miniaturizzata, una specie di grimaldello per tornare indietro sfruttando una dimensione parallela: Narnia per tutti. Solo che non ci vuole un armadio per entrarci, basta un Iphone. Inutile dire che un'applicazione così fa gola a creativi e pubblicitari. Gucci, Tiffany, Starbucks, Redbull, Mtv hanno già fiutato l'idea. Anche perché IG rappresenta l'archetipo di ciò che caratterizzerà il 2012 e per cui risulta già coniata una sigla su misura: SoLoMo (Sociale, Locale, Mobile). Certo, anche per IG, il narcisismo e il gioco stuzzicante della notorietà virtuale restano il cuore celato del meccanismo. Lo spirito è ben visibile, anche dietro le immagini sbiadite della commozione: bloccare un momento oppure una sensazione dentro un'immagine e condividerla, questo è il senso di IG. C'è anche una ragione inconscia, secondo lo psicanalista francese Serge Tisseron: ritoccare una fotografia, equivale a modificare un'immagine di sé. Una specie di costruzione permanente di noi stessi, un cantiere dell'anima spalancato su sé stesso. di Alberto Pezzini

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