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Ai partiti 4 euro di rimborso per ogni euro speso

Dal 1993 al 2008 sono stati versati 579 milioni per comizi e manifesti. Ma lo Stato ne ha rimborsati 2.254

Andrea Tempestini
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«Ah, la mangiatoia?». Così ne parla uno che il Palazzo lo frequenta da parecchio. Argomento: i famigerati rimborsi elettorali. E si capisce la scelta del termine da parte del parlamentare di cui sopra: sempre più spesso emergono irregolarità e sospetti in ordine alla disinvolta gestione di quest'immenso fiume di denaro pubblico che finisce nelle casse dei partiti. Con episodi da codice penale: l'inchiesta che coinvolge l'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi, indagato per l'appropriazione indebita di 13 milioni di euro provenienti per l'appunto dai rimborsi elettorali, è solo l'ultima. Ma non si tratta solo di episodi da Procura: per dire, grande imbarazzo ha provocato nella Lega la scoperta che parte dei fondi in questione sono stati investiti dal Carroccio fra Cipro e la Tanzania, altro che le-attività-sul-territorio. E poi le lotte intestine: nel 2008 Mario Di Domenico, uno dei soci fondatori dell'Idv, denunciò Di Pietro per presunte irregolarità nella gestione di oltre 20 milioni di euro, sempre frutto di rimborsi - denuncia poi archiviata. E ancora Di Pietro venne indagato nel 2010 per lo stesso motivo, dopo un esposto dell'ex amico Elio Veltri: ancora archiviazione. E proprio la gestione dei contributi rappresentò, ai tempi della fondazione del Pdl,  motivo di serrata discussione fra ex Forza Italia ed ex An. E persino i grillini: il Movimento 5 Stelle emiliano, dopo l'exploit alle Regionali del marzo 2010, si mise in fila per ricevere l'assegno, nonostante la promessa contraria del Sommo Leader - e la marcia indietro fu imbarazzata. E questi sono solo alcuni esempi. IL REFERENDUM TRADITO E allora partiamo dal peccato originale. Dal referendum tradito dell'aprile '93, quello promosso dai Radicali. Fra gli otto quesiti c'era anche quello sull'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti. Il 90,3 per cento dei votanti - il 77 per cento degli aventi diritto, ben sopra del quorum  - si espresse dichiarando che no, soldi pubblici ai partiti non bisognava più darne. E però la contromossa non si fece attendere: nel dicembre dello stesso anno venne aggiornata alla bisogna la disciplina relativa ai rimborsi elettorali, giusto in tempo per diventare operativa per le Politiche del marzo 1994. Tanto per usare le parole della Corte dei Conti, «quello che viene normativamente definito contributo per il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero e proprio finanziamento». Eccola qui, la truffa. Che poi uno dice: rimborsare significa rifondere ciò che si è speso, possibilmente documentando tali uscite. E invece no, per i partiti non funziona così: il rimborso elettorale viene invece calcolato sulla base dei voti che ogni partito prende - ne vengono esclusi solo quelli che non superano l'1 per cento, soglia elevata al 4 a partire dalla prossima legislatura.  E comunque, vuol dire che ogni voto preso equivale a un tot, giusto? Macché: i rimborsi si calcolano su tutti gli aventi diritto, e fa niente se poi in parecchi a votare nemmeno ci vanno, tanto poi le percentuali ottenute dai partiti vengono spalmate sull'intero corpo elettorale. Roba da provare imbarazzo anche solo a spiegarlo. 180 MILIONI IN UN ANNO Se poi si passa ad analizzare le cifre, l'imbarazzo si trasforma in collera. Allora: nel '93 il rimborso si calcolava su 800 lire a legislatura per ogni italiano in età da voto, poi nel '99 si è pensato di alzare la quota a 4mila lire (il quintuplo), e nel 2002 - dovendosi adeguare  alla nuova moneta comune - le 4mila lire si sono trasformate in 5 euro (all'epoca, in linea di massima, corrispondevano ancora a poco meno di 10mila lire!). E attenzione: 5 euro a legislatura - 1 all'anno - per ogni  Camera, che dunque significa 5 per la Camera e 5 per il Senato. E poi anche 5 euro per ogni elezione Regionale. E altri 5 per le Europee. Per farla breve: a quelle elezioni del '94, nemmeno un anno dopo il referendum che in teoria abrogava il finanziamento pubblico, i partiti s'intascarono l'equivalente di 47 milioni di euro. Diventati 476 in occasione delle Politiche del 2001, e 499 nel 2006,  e poi 503 nel 2008. Ancora per citare la Corte dei Conti: dal '93 a fine 2008 si sono svolte cinque elezioni Politiche, tre Europee e tre Regionali. E a fronte di spese accertate per complessivi 579 milioni di euro, i partiti ne hanno incassati 2.254: per ogni euro speso lo Stato gliene ha ridati quattro. E, per un contro complessivo, ci sarebbero da aggiungere le cifre  relative a Europee 2009 e  Regionali 2010. In ogni caso: solo nel 2010, anno senza elezioni Politiche, i partiti hanno ricevuto 182 milioni e 144mila euro di rimborsi elettorali. Ma c'è pure l'altro escamotage, che rende la situazione quasi surreale.  Trattasi della frasetta inserita nella legge a inizio 2006. Quando, con grande soddisfazione di tutti - esclusi i soliti Radicali - viene stabilito che «in caso di scioglimento anticipato di Senato o Camera il versamento delle quote annuali dei rimborsi è comunque effettuato». Capito? Esempio: il governo Prodi, entrato in carica nel 2006, è durato due anni, e però i rimborsi sono stati elargiti fino al 2011 -  a partiti scomparsi dal Parlamento come Rifondazione Comunista, ma anche a Margherita e Ds poi confluiti nel Pd, e a Forza Italia e An poi diventati Pdl. Poi nel 2008 ci sono state le altre elezioni, e i rimborsi relativi a queste ultime si sono sommati ai precedenti. E insomma, nel 2009-2010-2011 i partiti hanno ricevuto paghetta doppia. Dicono che ora basta, dal prossimo giro i rimborsi saranno ridotti del 10 per cento. Vedremo, e comunque certo non basta per soffocare la voglia di mandarli a quel Paese. Una volta di più. di Andrea Scaglia

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