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I prof si arrendono ai giudici Senza Silvio nessuna riforma

La magistratura loda il nuovo clima politico. Ora sono tutti tranquilli: Berlusconi non c'è più e la giustizia non è più da cambiare

Lucia Esposito
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Fa un freddo boia, ma sui magistrati splende un sole meraviglioso. Ha iniziato l'altro giorno il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, lodando «il mutamento dell'atmosfera politica, istituzionale e culturale che dirada le nubi che si erano addensate sul nostro impianto costituzionale». Ieri la metafora meteorologica è stata ripresa dal presidente della Corte di Appello di Roma, Giorgio Santacroce: «Il clima è decisamente cambiato. Il nuovo ministro della Giustizia si pone obiettivi concreti e raggiungibili». Stessa cosa hanno fatto il procuratore generale presso la corte d'appello di Firenze («in questa inaugurazione dell'anno giudiziario c'è un clima ben diverso da quello che ci ha rattristato negli ultimi anni»), il presidente dell'Associazione magistrati e per farla breve tutti gli altri. Hanno ragione loro: il clima è cambiato davvero. Rimosso Silvio Berlusconi, in prognosi riservata il Popolo della libertà, non c'è più nessuno che in nome della riforma della giustizia osi contraddire la corporazione togata. Al punto che l'unica proposta concreta per cambiare le regole, ieri, è stata avanzata dal presidente della Corte d'Appello di Milano, Giovanni Canzio: occorre cambiare la legge sulla prescrizione, perché rappresenta «un agente patogeno» e «incentiva strategie dilatorie della difesa». Un guanto in faccia a Berlusconi, che punta a salvarsi dai processi milanesi proprio grazie alla prescrizione, ma anche la pubblica rivendicazione che la bilancia del potere adesso pende dalla parte delle toghe: gli altri poteri hanno rinunciato al proprio ruolo, il «clima nuovo» che piace tanto ai magistrati è una bandiera bianca che sventola su Montecitorio e palazzo Chigi. In Parlamento, spezzato l'asse che univa Pdl e Lega, non c'è più una maggioranza in grado di riscrivere le regole dei processi e i criteri di avanzamento di carriera dei magistrati, tantomeno di introdurre un principio di banale civiltà come la responsabilità civile dei magistrati. Quanto al governo, l'annuncio ufficiale della resa lo ha dato ieri il ministro della Giustizia, Paola Severino. Sfrondata dalla retorica, l'intervista che ha rilasciato al Messaggero è una dichiarazione d'impotenza. Freddate le speranze di chi si aspettava un intervento organico sulla giustizia: «I temi in programma sono già numerosi», spiega il ministro, «e il mio vero timore è che i tempi limitati e l'impegno che il doveroso confronto con il Parlamento comporta non consentano di esaurire il catalogo di tutte le pur auspicabili riforme». E quindi, dopo la legge “svuota carceri” che ha scaricato sulle questure l'onere di custodire gli arrestati, sebbene queste non abbiano né gli uomini né i fondi per sostenerlo (non visto dagli agenti, venerdì un cittadino marocchino si è suicidato nelle celle della questura di Firenze), arriveranno la depenalizzazione di alcuni reati - che può anche essere una buona cosa, ma soprattutto costa assai meno della costruzione di nuovi penitenziari - e norme più rigide contro la corruzione e l'abuso di ufficio. Queste sono il classico vestito per tutte le stagioni: quando un governo non sa che fare dà un giro di vite alle pene per i reati di corruzione; solitamente il malaffare permane, ma almeno nessuno potrà accusare il governo di essere rimasto inerte. Tutto qui? Malgrado il ministro si sia impegnato a rendere «efficiente» la giustizia, pare proprio di sì. Nulla in confronto all'ambizioso programma che i professori hanno annunciato per il fisco, il lavoro e la competitività delle imprese. Eppure anche quella della giustizia è una delle riforme volute dall'Europa. Nella lettera inviata il 5 agosto dalla Bce a palazzo Chigi - vero motivo per cui il governo Monti è stato creato - si sostiene che in Italia «dovrebbe diventare sistematico l'uso di indicatori di performance», soprattutto «nei sistemi sanitario, giudiziario e dell'istruzione». In questo modo si avrebbe un giudizio oggettivo su tribunali e procure, si saprebbe chi lavora bene e chi no. E far rispettare il principio della responsabilità civile sarebbe un ottimo modo per migliorare la «performance» di chi è pagato per amministrare la giustizia. Ma i magistrati non gradiscono ed è già chiaro che non è da Monti e dai suoi colleghi che può arrivare una simile svolta. Resta da capire a cosa serva un governo tecnico votato in massa dal Parlamento per varare riforme impopolari se poi manca il coraggio di toccare certi santuari. di Fausto Carioti

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