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Dallo scandalo Sisde al triplo stipendio: le ombre di Oscar Luigi

Scalfaro e una carriera politica dai molti volti: "Io non ci sto", il ribaltone, la simpatia per la sinistra e l'avversione al Cav

Giulio Bucchi
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Oscar Luigi Scalfaro, luci e ombre. il segretario della Destra Francesco Storace lo ha definito, anche dopo la morte, "il peggiore presidente della storia dell'Italia". Forse esagera, puntando il dito sul ribaltone del 1994 avallato da Scalfaro con cui il potere passò dal premier Berlusconi al "tecnico" Lamberto Dini, senza far tornare la parola agli elettori dopo l'uscita della Lega Nord dalla maggioranza. Un momento cruciale nella storia italiana e in quella politica del presidente, non l'unica però al centro di polemiche. Tangentopoli - Dopo una vita da democristiano convinto e durissimo, Scalfaro si trovò eletto prima presidente della Camera e, dopo un mese, presidente della Repubblica per, parola di Indro Montanelli, "disgrazia ricevuta". Momento peggiore, in effetti, non poteva esserci: le stragi di mafia, il debito pubblico alle stelle e soprattutto una classe politica, quella della Prima repubblica, già scricchiolante. Era maggio, e i mesi successivi sarebbero stati una strage politica: ministri e segretari inquisiti, funzionari di partito in carcere, suicidi. Era il ciclone Tangentopoli e Scalfaro lo cavalcò convinto: da ex magistrato, appoggiò la "pulizia" del pool milanese di Borrelli e Di Pietro. Si mise, insomma, contro i suoi ex compagni di governo e di partito. Lo scandalo SISDE - La sera del 3 novembre 1993, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro interrompe la diretta della partita di Coppa Uefa tra Napoli e Trabzonspor con un discorso a reti unificate. Passerà alla storia come quello del "Io non ci sto", una durissima reazione alle inchieste sullo "scandalo SISDE" e a fondi neri al tempo del suo incarico al Ministero degli Interni. L'ex direttore dei Servizi Riccardo Malpica lo aveva accusato di aver intascato 100 milioni di lire ogni mese dal Sisde. Era, secondo Scalfaro, "un gioco al massacro", una rappresaglia dei politici della Prima repubblica nei suoi confronti, colpevole di aver sposato la causa di Mani Pulite. Nel 1994 i funzionari coinvolti furono poi condannati, scagionando di fatto Scalfaro. Scalfaro e la sinistra - Nel 1994 la Lega rompe con Berlusconi, decretando la fine del primo governo del Cavaliere. Scalfaro, invece di sciogliere le camere e ridare la parola agli elettori, verifica l'esistenza di una nuova maggioranza e chiama a Palazzo Chigi Lamberto Dini, con l'appoggio dell'allora Pds. Una scelta criticatissima a destra, che decreterà la rottura definitiva con Forza Italia e Berlusconi. L'asse tra Scalfaro e gli esponenti dell'ex Pci si rafforzerà nell'ultima parte di mandato, dopo la caduta di Romano Prodi nel 1998, quando ripetè l'operazione del 1994: niente scioglimento delle Camere, ma potere passato nelle mani di Massimo D'Alema. Dopo il Quirinale - Che i rapporti con il centrosinistra fossero più che buoni, lo conferma l'attività di Scalfaro dopo la fine del suo mandato, nel 1999. L'ex democristiano diventa il nume tutelare dei Ds e, infine, del Partito Democratico. Lo stesso segretario Pier Luigi Bersani lo ha ricordato commosso, definendolo simbolo "di equilibrio": "Non abbandoneremo mai le sue battaglie", ha sottolineato Bersani. Il triplo stipendio - L'ultima ombra su Scalfaro deriva dal suo vitalizio d'oro da senatore a vita: 15mila euro al mese, anche se le presenze a Palazzo Madama del presidente si contavano sulle dita di una mano. E a quei 15mila euro mensili si dovevano aggiungere quelli da ex parlamentare e i 4.766 euro maturati per aver superato i 30 mesi da magistrato, carica ricoperta tra 1943 e 1946 e in virtù della quale condannò a morte due fascisti dopo la Liberazione.

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