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Pansa: occhio, se il prof va giù vince la sinistra

Il Cav è in un vicolo cieco: se appoggia Monti, gli elettori del Pdl lo abbandonano. Se lo fa cadere, la maggioranza degli italiani lo punirà

Giulio Bucchi
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Appena settantotto giorni. Da sabato 12 novembre 2011 a oggi, domenica 29 gennaio 2012. È  in questo brevissimo lasso di tempo, un lampo nell'esistenza di un leader politico, che Silvio Berlusconi ha visto svanire gran parte del potere che possedeva. Ha perso Palazzo Chigi. Ha perso un alleato decisivo, la Lega. Ha perso lo strumento di lavoro più importante: un partito unito, senza correnti né clan, schierato  senza esitazioni e per intero attorno a lui. Il  Foglio  di Giuliano Ferrara ormai chiama il Pdl il Partito dei confusi.  Forse il Cavaliere ha anche perduto una parte dei propri elettori. Ma questo nessuno può dirlo con certezza. I sondaggi sostengono che pure su questo fronte Berlusconi sia alle prese con una flessione vistosa. Tuttavia la verità si potrà accertarla soltanto dopo il voto amministrativo di primavera. Ma il vero guaio di Berlusconi è di trovarsi alle prese con una congiuntura politica che assomiglia molto a una maledizione. Come se una fattucchiera l'avesse  preso di mira, imprigionandolo in un vicolo cieco. E senza lasciargli vie d'uscita se non quelle che lo conducono, dritto dritto, verso un'altra sconfitta. Parlo delle possibili manovre del Cavaliere a proposito del governo dei tecnici che ha preso il posto del centrodestra. Tre ipotesi - Le ipotesi più ragionevoli sono in sostanza tre. La prima è che Berlusconi continui a sostenere il governo Monti per un senso apprezzabile di responsabilità verso il Paese, già messo nei guai dalla bufera economica e finanziaria. Ma in questo caso, la conseguenza per lui sarebbe soltanto una: la perdita di un'altra quota di elettori. Quelli che ritengono i Professori capaci soltanto di tassare, tassare, tassare. È  sufficiente leggere le lettere pubblicate da più di un quotidiano, a cominciare da  Libero, per rendersi conto che si tratta di un pericolo reale per il fatturato di consensi indispensabile al Cavaliere. La seconda ipotesi prevede che Berlusconi decida di staccare la spina a Monti, obbligandolo a dimettersi. Ma in questo caso, è molto improbabile che il presidente della Repubblica tenti di mettere in piedi un altro esecutivo. La scelta del Quirinale sarebbe una sola: sciogliere le Camere e indire le elezioni anticipate. A quel punto, una domanda è inevitabile: chi vincerebbe? La mia opinione, molto personale, è che a prevalere sarebbe una coalizione di sinistra o di centrosinistra. Per molte ragioni. La più importante è che un buon numero di elettori non daranno certo il voto a un centrodestra colpevole di aver ucciso un governo che, a ragione o a torto, veniva ritenuto capace di affrontare la crisi italiana. La terza ipotesi ha come presupposto che sulla scena politica italiana non cambi nulla, sino alla primavera del 2013. Allora la legislatura sarà conclusa e si andrà a votare. Ma a quel punto è probabile che emergano molte novità, tutte negative per Berlusconi e il suo centrodestra. Prima ancora del voto, Monti apparirà un vincitore. È  riuscito a durare per tutto il tempo previsto. Ha fatto cose utili per l'Italia. Ha evitato un disastro incombente, il terribile rischio Grecia.  In quel caso sorgerà un quesito: il Professore vorrà accettare di candidarsi alla testa di una coalizione di tipo nuovo, oggi ancora teorica? Per esempio un'alleanza tra centro e sinistra, più una presenza corposa di tecnici? Può anche darsi che questa scelta non riguardi lui, bensì Corrado Passera, il numero due del governo odierno. In quel caso, non è escluso che Monti diventi il candidato al Quirinale, dal momento che nel maggio 2013 scadrà il mandato di Giorgio Napolitano. Lezione del passato - Sin qui il Bestiario ha messo in campo soltanto delle ipotesi. Ma adesso voglio ricordare qualche dato di fatto ricavato dal passato. Il primo è che Monti ha sempre avuto la stima di Berlusconi. Nel 1994, era stato il Cavaliere a mandarlo a Bruxelles in qualità di commissario al Mercato interno. Il Professore mise in luce tutte le sue doti. E nel 1999 venne confermato dal governo D'Alema come responsabile dell'Antitrust. Fu allora che Monti acquistò una statura internazionale. Disse di no alla fusione fra Honeywell e General Electric. Poi inflisse una multa pesantissima alla Microsoft. Quello che non rammentiamo è che il profilo di Monti non era soltanto quello di un formidabile tecnico. Il Preside veniva ritenuto un'eccellenza vicina al centrodestra. Tanto da diventare un candidato possibile del blocco berlusconiano nella corsa al Quirinale del maggio 2006, quella che poi venne vinta da Napolitano grazie ai voti del centrosinistra. È  un episodio che ricordo bene perché in quei giorni stavo a Montecitorio per scrivere un diario di quanto vi accadeva, poi stampato dall'Espresso. La mattina del 9 maggio, poco prima che iniziasse il secondo scrutinio, Berlusconi ebbe una sorpresa poco piacevole. Uno dei suoi, Sandro Bondi, in seguito diventato ministro della Cultura, aveva pubblicato sulla  Stampa  un santino a favore di Napolitano. Bondi spiegava al Cavaliere perché il centrodestra poteva votare per lui: «Rispetto a D'Alema che è il vero continuatore dell'esperienza comunista e togliattiana, agli occhi dei nostri elettori Napolitano rappresenta un politico moderato e può essere considerato il male minore». «Beninteso» concludeva Bondi, «se non si riuscirà a consolidare attorno a Mario Monti un vasto e trasversale consenso». Ma quella del buon Sandro era una pia illusione. Il professor Monti risultava  di certo un candidato eccellente per il Quirinale. Il rebus era se lui intendeva scendere in pista e, dunque, se aspirava davvero di salire al Colle. Come la pensasse il Preside non si è mai saputo. O comunque i cronisti sul campo, a cominciare da me, non riuscirono a scoprirlo. Del resto, la mattina del 9 maggio nessuno ebbe il tempo di accertarlo. Infatti venne subito a galla quello che stavo vedendo anch'io. Mi bastò un semplice struscio nel corridoio dei Passi perduti per capire che nessun politico professionista, di nessun blocco partitico, voleva Monti tra i piedi. Era l'ennesima conferma che la Casta, già allora in crisi, non accettava estranei nel proprio club di morti viventi. Casta proterva - Più tiravano le cuoia, più i centurioni dei partiti diventavano protervi. Per loro, la società civile non esisteva o contava come una cacchetta di mosca. Dunque immaginare il professor Monti al Quirinale era blasfemo. Persino più che sognare il terrorista islamico Bin Laden assiso sul trono di Pietro in Vaticano. Infatti quella mattina i milledieci grandi elettori raccolti a Montecitorio votarono per la seconda volta senza risultato. Sette anni dopo, il fastidio dei politici per i tecnici è diventato furibondo. Basta leggere un giornale qualsiasi per rendersene conto. La stizza per i professori sta dilagando. Tutto ciò che fanno è sbagliato. Tanto da far sembrare il governo Monti un governicchio di incapaci presuntuosi. Prima lo si manda a casa, meglio è. Quando ci si affida agli umori più che al cervello, è facile incorrere in errori madornali. Berlusconi sarà pure bollito, ma non credo sia diventato stupido. Lui sa bene che far cadere Monti vorrebbe dire spalancare la porta al trio della fotografia di Vasto: Bersani, Di Pietro e Vendola, più annessi e connessi. Una prospettiva agghiacciante. Non soltanto per lui. di Giampaolo Pansa

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