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Favino "Non tutti i poliziotti sono dei bastardi" La star di Acab massacrata dalla sinistra

Il protagonista del film sui celerini sfata un pregiudizio, ma basta un manganello per far impazzire i no global

Giulio Bucchi
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Mentre i No Tav sfilano per protestare contro gli arresti dei loro compagni che hanno messo a ferro e fuoco la Val di Susa mesi fa, le parole di un attore suonano quasi educative. Sono quelle di Pierfrancesco Favino, non certo noto per essere un pericoloso reazionario, tutt'altro. In questi giorni arriva nelle sale un film di cui è protagonista: si chiama Acab (acronimo di All Cops Are Bastards, tutti gli sbirri sono bastardi) e racconta la vita di un gruppo di celerini. Cioè i nemici per eccellenza degli antagonisti, dei No Global e dei No Tav, «quelli che menano». Quelli che si pigliano gli sputi e gli insulti. I fascisti col distintivo. Intervistato da Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche venerdì sera, Favino ha raccontato una cosa sconvolgente: «Nel film Romanzo criminale ho interpretato il Libanese, un criminale colluso con la mafia. Però nessuno mi ha insultato. Adesso che ho interpretato un celerino tanta gente mi ha scritto che devo vergognarmi». Questo episodio fotografa abbastanza bene la realtà del nostro Paese, dove un attore noto e amato diventa bersaglio di ingiurie poiché veste la divisa del reparto mobile, di un sbirro. Il film non è particolarmente tenero con gli uomini in blu, non li santifica, non lesina le critiche. Semplicemente, però, cerca di raccontare (anche) il loro punto di vista. Cosa a quanto pare sgradita all'intellighenzia. Durante la trasmissione, Daria Bignardi ha mandato un servizio in cui si vedeva un gruppo di No Global intento a manifestare davanti a una libreria milanese contro il regista di Acab, Stefano Sollima. Sono le stesse persone che supportano la lotta in Val di Susa, le devastazioni degli «studenti» a Roma e via dicendo. Una di loro, una ragazza che avrà avuto al massimo vent'anni, dichiarava a proposito dei celerini: «Io li odio». La Bignardi la difendeva: «Se ti picchiano, cominci a odiare». Favino, moderatamente, le ha risposto: «Secondo me c'è una idea della legalità abbastanza bizzarra». E ha ricordato che gli agenti con il casco e lo scudo sono quelli spediti dai signori della politica a fare cordone contro i pescatori inviperiti col governo e «se uno tira una bomba carta non la tira alle persone che stanno nel Palazzo, ma a loro».    È curioso notare che nel Palazzo ci sono anche numerosi esponenti politici pronti a schierarsi dalla parte dei manifestanti, gente disposta a cullare la protesta se non a sobillarla. Gente che ha trasformato Carlo Giuliani in un martire della libertà e poco ci è mancato che lo facesse anche con Er Pelliccia.  Il celerino, dunque, è stretto in una morsa. E Favino ha cercato di mettere in scena la sua solitudine, le sue sofferenze. Per questo si è preso gli  insulti. Su Twitter qualcuno gli consigliava di «andare a farsi un giro in Val di Susa» o di imbattersi «nel reparto mobile di Roma». Lui ha provato a spiegare come si è sentito quando sul set, con casco e scudo addosso, si è trovato davanti altri attori che lo spingevano: «Per reazione ho cominciato a spingere anche io, era una forza che mi veniva da dentro». Come a dire che gli sbirri sono uomini, non robot: un concetto rischioso da esprimere, nella tivù italiana. Una tivù in cui    è dovuto intervenire un attore -  incalzato da una  presentatrice  di sinistra intenzionata a dimostrare che gli agenti sono violenti destrorsi - per raccontare l'odio diffuso in una certa cultura e in certo mondo verso le forze dell'ordine. Per dirci che viviamo in uno strano Paese, dove si può manifestare sfasciando una città senza conseguenza, ma  i poliziotti restano tutti bastardi. di Francesco Borgonovo

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