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Fiorello, Linus e...Berlusconi Cecchetto e 30 anni di Radio Dj

Aneddoti, ricordi e progetti del fondatore dell'emittente più ascoltata e imitata d'Italia. Il consiglio del Cav: non spendere tutto

Lucia Esposito
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Claudio Cecchetto parla alla vigilia dei 30 anni di Radio Deejay, per quasi tre decenni, l'emittente radiofonica più ascoltata e imitata d'Italia. Il compleanno verrà celebrato con una mega festa al Forum di Assago martedì prossimo."Era la mezzanotte del 1° febbraio '82. Realizzavo un sogno: aprire una radio tutta mia". Come fu quella notte di 30 anni fa? "Avevo appena condotto il mio terzo Sanremo, una media ascolti di quasi 20milioni di telespettatori. Ma già dalla serata di sabato pensavo al varo di Radio Deejay. Mezzanotte: pronti, via. Un mare di problemi tecnici. Poi è andata come sapete. Così sarà martedì prossimo. Saluterò la folla del Forum e piomberò nel mio studio dove varerò “Face Skin” la mia ultima scoperta su Internet. E' un “social search network” che ti consente di organizzare una ricerca su un tema e di condividerla in rete. Il suo slogan è: ricerca-organizza-condividi. Suona “Roc” (lo pronuncia come se fosse scritto “rock”). Chissà, magari i computer si incepperanno. Penserò che porterà bene. Ho molta fiducia in Internet. Vede Face Skin è una Community dove sarà a disposizione di chiunque una ricerca già fatta da qualcun altro su uno specifico tema. Una volta realizzata la ricerca, tutti quelli interessati a quel tema la potranno trovare già pronta su Face Skin. E' un'idea che non esiste al mondo". Il Manchester bastona Tevez Che cos'era per lei fare radio? "Io vengo da una generazione che andava a pane e Radio Veronica, Radio Montecarlo. La notte la trascorrevo in bianco, attaccato all'apparecchio radio e mi immaginavo che sarebbe stato bello stare davanti a un microfono e sapere che quello che mettevi in onda o dicevi al microfono poteva essere ascoltato da tanta gente. Ero un disc jockey da discoteca. In genere parlavo due volte l'anno: a Capodanno e a Carnevale. Sentivo di avere la necessità di comunicare". Come andò la prima volta? "Era l'una di un pomeriggio del lontano 1975: feci un provino a Radio Milano International. Avevo a disposizione un piatto e un microfono. Mi misero davanti a un registratore Akai autoreverse con quelle bobine grandi come piatti da ristorante. Mi facevo schifo, volevo andarmene a casa. Andai avanti fino alle 6 di sera. Una pena! Poi arrivò una telefonata di un tipo che conduceva il programma “Soul Train”. Si lamentava che non lo pagavano. Gli dissero: soldi non ce ne sono adesso. E lui: o mi pagate o non vengo più. Vennero da me e mi dissero: vuoi andare in onda tu? Mi presentarono come il nuovo disc jockey Marco. Un errore che non sarebbe più stato ripetuto. Il giorno dopo arrivarono dei tappi con i nomi dei disc jockey in onda. Io ero Marco. Andai in onda. Il primo disco fu un pezzo di Hamilton Bohannon. Durava 12 minuti. Mentre suonava, io preparavo l'intervento parlato e il nuovo disco". Poi arrivò Radio 105. “Milano International” era pionierismo puro. “105” fu la fase successiva, una radio organizzata, la prima radio organizzata. Qui imparai a fare radio con il rispetto dei ruoli. Dopo poco, mi stava stretta. Un giorno mi dissero: se vuoi fare la radio come vuoi tu, te la devi pagare, non puoi lavorare con qualcuno pensando che sia a disposizione delle tue idee". Finalmente Radio Deejay. "Una leggenda metropolitana racconta che la aprii con i soldi del “Gioca Jouer”. La verità è che stipulai il mio primo contratto con Canale 5, una cifra importante che reinvestii. Silvio Berlusconi mi disse: mi raccomando, non spenderli tutti nella radio. Gli risposi: e tu nella televisione. Abbiamo tutti e due ceduto alle nostre passioni". “Deejay”, un marchio, un'officina di grandi talenti. Il primo fu Gerry Scotti. Era a Radio Milano International. Mi piaceva lo stile “parla come magna”. Lo chiamai che stava salendo sull'aereo per gli Stati Uniti. Stava andando a un master di pubblicità. Con la verve e la creatività che si ritrova, avrebbe sfondato anche come pubblicitario. Meno male che l'ho fermato in tempo". Dovette convincere Berlusconi a fargli fare televisione. "Dopo “Popcorn” feci “Deejay Television” che non era l'emazione dell'omonima radio. Era un programma di musica realizzato con i video. Lo chiamai come la radio perché volevo che il marchio avesse la diffusione più capillare. Gerry andava benissimo per “Deejay Television”. Dissi a Silvio che uno così era forte e che mi aveva risolto tanti problemi era l'ideale per quel programma. Gli dissi anche che un domani avrebbe risolto molti problemi televisivi pure a lui…". In radio, Scotti al mattino faceva coppia con Daniele Milani. "Daniele aveva una voce meravigliosa. Non volevo che i disc jockey fossero la voce dei promo. Volevo qualcuno con un timbro distintivo. Diventò la voce ufficiale della radio. Daniele ha un timbro vocale stupendo: oggi è tra le voci più utilizzate in pubblicità". Ai tempi c'era anche Tracy Spencer. "Si chiamava Tracy Freeman. Mi colpì il fatto che fosse la prima ragazza di colore con i tratti da donna bianca, direi abbronzata. Le dissi che le avrei cambiato il nome in Tracy Spencer rievocando il nome di un attore che io adoravo, il leggendario Spencer Tracy. L'assonanza con quel nome le avrebbe reso il dovuto. Suonava famigliare per la gente". Poi? "Fiorello lo conobbi in un villaggio vacanze dove ero andato a registrare la sigla del “Telegattone”. Ricordo ancora questo ragazzo che mi fece compagnia per 3, 4 giorni. Dopo qualche tempo, me lo fece tornare in mente Bernardo, il fratello di Jovanotti. Fiorello venne a Milano. Andammo a pranzo: era un mattatore. Gli dissi: tu stai qua. Sembri invadente, tipo quelli che ti piombano in casa e la gente pensa cosa vuole questo. Quando il pubblico si fiderà di te, potrai fare ciò che vuoi". Lei dice che può dare di più. "E' un complimento. E' al top, ma è talmente forte che può andare ben oltre. E' un entertainer di profilo mondiale. Io so che il suo potenziale è superiore a quanto esprime. A questo punto, è lui che decide di fermarsi dove vuole in base al carattere, la famiglia, le attitudini". Leonardo Pieraccioni. "Non feci altro che portarlo da Firenze a Milano. Me lo segnalò Carlo Conti. Lo piazzai a Radio Capital e gli inventai un ruolo a “Deejay Television”. Era Zeba, l'assistente di studio che entra in scena facendo finta di non sapere che le telecamere sono accese. Faceva morire dal ridere. Mi piacciono i suoi film. Hanno lo spirito del nostro gruppo". Luca Laurenti. "La sua filosofia da “Pietro De Vico” del Duemila nacque col programma “Baldini-Ama-Laurenti”. Ama stava per Amadeus, Luca giocò sul doppio senso. E' una forza della Natura e una persona corretta. Ricordo quando lo contattati. Mi disse che non sarebbe potuto venire subito perché aveva un impegno verbale. Mi disse: se vorrai, sarò lì tra 6 mesi. Se ne andò perché Bonolis voleva riprovare la coppia con lui. Non gli dissi di no, nel rispetto di come si è sempre comportato con me. Gli dissi: vai…". Amadeus, voce stentorea. "Me lo segnalò Vittorio Salvetti. Gli dissi: hai una voce di piombo. Come ti chiami? Amedeo Sebastiani. D'ora in poi ti chiamerai Amadeus. Falco aveva appena lanciato “Rock Me Amadeus”. Avevamo già la sigla pronta". Fabio Volo. "Anche lui per Radio Capital. Mi portò un suo mix intitolato “Volo”. Mi colpirono la sua capacità di intrattenere senza annoiare e le citazioni dai libri che divorava, una rarità nel nostro ambiente. Gli dissi: il disco te lo promuovo se vieni a lavorare con me. Ma ti chiamerai Fabio Volo che non è il suo vero cognome". Jovanotti. Di lui, dice: è il più riconoscente "Lorenzo un giorno se ne stava seduto davanti al centralino della radio. Gli dissi: ricordati la teoria della pianta. Vivi all'interno del gruppo e guardi come vanno le cose. Magari ti accorgi che una segretaria, in certe cose, ha più peso di un dirigente. Oppure vedi come uno si comporta. Lo ricordo seduto su una panca. Gli dissi: forse stai pensando che non stai facendo nulla. E invece stai facendo una cosa importante: osservi. Ci sarà un giorno in cui non riusciremo nemmeno a parlarci. Sì, è di una riconoscenza strepitosa perché non ha paura di manifestarla. Con lui ancora oggi c'è molta frequentazione. Talvolta la sua riconoscenza mi mette in imbarazzo. Avere la forza della riconoscenza significa non averne paura. Jovanotti ha davvero due palle così". "Chi invece le è meno riconoscente? "Beh, la riconoscenza non è propria di questo mondo. Posso dire che non c'è nessuno che sparli di me. E' perfetto…". Max Pezzali, degli 883 "Con lui c'è un rapporto speciale. Oggi vive a Roma e tutto quello che mi scrive mi coinvolge, mi sembra di ascoltare un amico della provincia. Io vengo dalla provincia veneta, sono di Ceggia, per cui con Max c'è una grande affinità. E' un cantastorie raffinato. Oggi non ce ne sono più". Veniamo a quelli di oggi Linus, l'attuale direttore di Radio Deejay e Albertino, inventore del “Deejay Time”. "Due fuoriclasse, fratelli, diversi tra loro. Linus è più intrattenitore, Albertino più disc jockey. Rappresentano la continuità. C'erano agli inizi, ci sono oggi". Claudio, perché a un certo punto vendette la radio? "Io sono un imprenditore per forza, nel senso che non sono nato imprenditore, lo sono diventato per realizzare un sogno. Nell'88 capii che per continuare a svilupparsi, il marchio avrebbe avuto bisogno di un grande gruppo. Mi dissero fai attenzione, stai facendo entrare un gruppo che gestisce un media pubblicitario. E' logico che un media di pubblicità può determinare gli investimenti sulla radio. Ero a un bivio, ma ero consapevole che se avessi continuato da solo, la radio sarebbe sparita". La “Deejay” di oggi che cos'ha da spartire con la sua? "C'è molto perché quando dai un input, un pensiero, delle fondamenta forti, ciò che viene edificato porta ancora l'imprimatur degli inizi. Come allora, direi che ci sono disc jockey non omologati, che Deejay è un'emittente dove si può parlare di più rispetto alle altre. C'è ancora una scelta musicale che va oltre le classifiche". Cecchetto, guarda la tv? "Sono uno spettatore multitasking: guardo la tv, col computer acceso, la musica in sottofondo. L'altra sera, stavo guardando il Grande Fratello. Ho sentito una serie di parolacce impressionante. Ho subito twittato: le parolacce nei dischi dei rapper? Ma al GF ne dicono molte, molte di più. Nessuna critica. E' una constatazione. Io non posso pensare di stare seduto davanti al video a guardare e basta". Li segue i talent show? "All'inizio ne ero molto contento. Mi dicevo: oh, finalmente una formula che accontenta la musica e la televisione. Ora mi pare che stia accontentando più gli autori televisivi. Comunque, ho ritrovato nell'ultimo “X Factor” lo spirito bello, compatto, senza schemi della prima edizione. Senza dirigenti tv che ti dicono da' retta a me che so fare televisione. L'hanno fatto su Sky. In Rai, non sarebbe venuto così, gli avrebbero messo i paletti. Anche per questo hanno avuto successo". Non ha mai pensato di inventarsi una nuova idea radiofonica? "Le radio oggi sono grandi aziende dove quasi sempre l'editore caratterizza il taglio e il lavoro di tutti. Preferisco dedicarmi a Internet che sta diventando davvero un media popolare". Ma avrebbe potuto scoprire dei nuovi talenti, non crede? "Il buon Dio continua a sfornare talenti, ma in giro ci sono molte meno occasioni. Certo che avrei potuto fare una nuova radio, scoprire un nuovo Fiorello o un nuovo Jovanotti. Ma che senso avrebbe? Sarebbe come aiutare i numeri 2". di Fabio Santini

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