Tifosi, mister, società, squadra La ricetta magica della Juve
L'alchimia bianconera è il modello per far ripartire il calcio italiano: dal mister alla società ecco la signora ai raggi x
Lo stadio pieno e caldo anche per un quarto di Coppa Italia, e non c'erano figuranti, né i cartonati di Trieste. L'inno furbissimo e appassionato di Paolo Belli cantato senza alcun imbarazzo da vecchi e giovani, uomini e donne, e bambini (il futuro fatto in casa). Le immagini dell'Avvocato e i cori (per lui) della curva che dall'8 settembre scorso ha smesso di essere curva soltanto fisicamente. Riuscita - poiché a lungo studiata - la fusione di emozioni, suggestioni, memoria, cinismo e risultati (il benedetto maledetto imprescindibile profitto). Sul campo la prevalenza della forza di Chiellini e Borriello, della corsa di Lichtsteiner, Giaccherini e Estigarribia, della freschezza di Marrone e del genio di Pirlo e Alex74. Non ancora la favola assoluta, ma ci siamo vicini. Di sicuro la favola di una serata solo apparentemente di secondo piano.Questa Juve sembra appartenere a un altro mondo, a un calcio che non è quello italiano; un calcio nel quale niente si trascura e tutto funziona alla perfezione, perfino il rapporto tra la società e la sua gente che in fondo è il più importante: avete presente i vuoti di Milano, Roma, Firenze, Genova, Bologna, Verona, Udine, Cagliari? - ripeto ciò che ho scritto su twitter poco prima dell'inizio di Juve-Roma: «Altri nove impianti come lo Juventus Stadium e la Serie A torna a essere il campionato più bello del mondo: è il teatro che fa lo spettacolo». Nella favola Juve non ci sono principi, né Biancaneve. Qualche strega, ci sta, e numerosi cenerentoli occasionali. Dico Barzagli, Bonucci e Pepe, ma anche Pirlo, Vucinic, Buffon, Chiellini e Marchisio, tutti usciti con le ossa rotte dall'ultima stagione. Conte li ha restituiti al loro valore esaltando il superlavoro e la disponibilità al sacrificio: sapeva di trovare terreno fertile e ha seminato bene. Del resto - da allenatore - ha fatto le serali (Arezzo, Bari, Siena) dove ha capito che soltanto riuscendo ad abbinare la qualità all'energia della corsa avrebbe ottenuto la squadra perfetta. Sacrificio, impegno, rinuncia. Termini dei quali spesso si abusa ma che Conte ha il diritto di pronunciare. Del resto a qualcosa anche lui ha rinunciato: ai top che la società non poteva e non può permettersi. A Aguero, a Tevez. Gente forte, rapace.Dimenticavo i tagli: fuori chi non ci sta o non ne ha più. Con una spietatezza assai prossima al valore. Molti si domandano se la favola Juve finirà presto o se al contrario durerà almeno fino a maggio. Conte sta facendo il possibile per evitare pause e interruzioni, conclusioni rapide. Anche per questo ha chiesto un giocatore per reparto («in difesa e a centrocampo siamo numericamente in pochi, in avanti avevamo di bisogno di un alternativa a Matri»), ha fatto i nomi di Borriello - proprio perché l'Apache era inavvicinabile - Nainggolan, Behrami. Gli hanno proposto anche Guarin, Pizarro, Palombo. Lui li preferirebbe già pronti all'uso, solo da mettere a regime. Perché non ha tempo, né obiettivi, da abbandonare per strada. La “bolgia” non glielo perdonerebbe. Dimenticavo Del Piero, il cui unico torto non è avere trentasette anni, quasi trentotto, ma quello di aver sbagliato squadra: nella Juve di Conte il piede e il cervello vengono dopo i polmoni e le gambe. Nella Juve di Conte di genio ne basta uno. Due, nelle occasioni mondane. di Ivan Zazzaroni