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La retromarcia della Fornero Si rimangia la cosa giusta

De' Manzoni: Sul lavoro il ministro del Welfare cede alla Camusso e rinuncia a toccare la cassa integrazione straordinaria

Giulio Bucchi
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C'era da aspettarselo. Del resto Elsa Fornero l'ha già fatto con l'articolo 18: proclama tonitruante e poi, quando Cgil e sinistra tutta mostrano la faccia feroce, precipitosa ritirata. Copione rispettato alla lettera anche sull'abolizione della cassa integrazione straordinaria e fessi noi a crederci al punto da titolare che il governo Monti, attraverso il suo ministro del Lavoro, ne fa una giusta. Sbagliato. Ne ha pensata una giusta. L'ha pure fatta sapere, per vedere l'effetto. Ma la lettura dei giornali (tutti critici, a parte Libero) e le frasi minacciose della Camusso («una follia») l'hanno spaventata. E così, prima che le cose prendessero una brutta piega e il pianto avesse il sopravvento, si è affrettata a dire che c'è un equivoco, che quel provvedimento nel documento da lei portato alla discussione sul mercato del lavoro non compare affatto, che si vedrà, che il governo non vuole essere «arrogante». Insomma: da quanto si capisce non se ne farà nulla, la Cig straordinaria continuerà a succhiare i soldi dei contribuenti, alterando i dati sulla disoccupazione e favorendo il lavoro nero degli stessi cassintegrati. E, già che ci siamo, addio anche al contratto unico, alla possibilità di licenziare e chissà a che altro. Speriamo di sbagliarci, naturalmente. Speriamo che tutti questi giri di valzer della ministra dalla lacrima facile siano solo pretattica e che, al momento giusto, lei saprà essere dura ed efficace come appare dalle numerose interviste che rilascia. Ieri, su Repubblica sembrava Terminator: della serie, se Monti non mi tiene li faccio tutti neri. Vogliamo ancora credere che quella frase («Non andrò a sbattere come il comandante Schettino e certo non scenderò mai dalla nave») non sia, come ora appare, giustappunto una vanteria alla Capitan Codardo. Ma il timore che da sotto il “tavolo” sul lavoro alla fine spunti il classico topolino si fa sempre più forte. E sempre più fastidiosa la sensazione che l'esecutivo bocconiano non sia frenato da troppi scrupoli quando c'è da colpire qualche categoria anche vagamente riconducibile all'elettorato di centrodestra, mentre venga assalito da dubbi e paralisi non appena si tratta di adottare iniziative sgradite all'area di riferimento del presidente Giorgio Napolitano, il vero azionista di maggioranza in quella specie di consiglio d'amministrazione messo insieme da Mario Monti. E questo, se permettete, è un problema. Lo è per il Pdl che, privo di una strategia chiara e inchiodato sul carro guidato dal Professore, rischia di ritrovarsi con la base elettorale decimata il giorno in cui questa democrazia sospesa avrà termine e la parola tornerà finalmente ai cittadini. Ma è un problema anche e soprattutto per il Paese, il quale ha necessità proprio delle riforme che i tecnici non sembrano avere la forza di imporre e corre invece il pericolo di ritrovarsi, alla fine dell'era dei secchioni, sulle ginocchia: impoverito dalle tasse, tramortito dalle finte liberalizzazioni e beffato dalla Merkel, niente affatto indotta da tutti i nostri contorcimenti a permettere l'unica cosa vitale per noi e per l'Europa: cambiare il ruolo della Bce e adottare gli eurobond. Un sobrio capolavoro. di Massimo De' Manzoni

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