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Manager sequestra un'escort per farla abortire

L'uomo d'affari di Milano non voleva il figlio dalla squillo: organizza il rapimento per farle interropere la gravidanza al 7° mese

Nicoletta Orlandi Posti
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Voleva che lei abortisse il bambino concepito durante la loro relazione. Per questa ragione, un importante manager di banca ha fatto sequestrare una giovane escort. Oggi, su disposizione del gip di Milano Annamaria Zamagni, l'uomo, P.N., 59 anni, è stato arrestato assieme ad altre quattro persone, i tre esecutori del sequestro e un intermediario. Le accuse, a vario titolo, sono sequestro di persona a scopo di estorsione, porto e detenzione di arma. La escort, 29 anni, italiana, viene sequestrata il 6 marzo scorso a Milano, in zona San Siro, nel box della lussuosa abitazione di proprietà del manager, dove si era trasferita da qualche tempo. In quel momento, la ragazza è al settimo mese di gravidanza, dopo che in precedenza aveva già abortito un bimbo che il manager non aveva voluto. I tre esecutori, due italiani e un sudamericano, la vanno a prelevare nel box di cui avevano le chiavi, loro date dal dirigente bancario. La ragazza sta per parcheggiare la sua auto, quando viene aggredita e minacciata con una pistola e poi portata in una casa di campagna nel Pavese, dove viene trattenuta per un paio di giorni. I sequestratori la liberano per motivi ancora da accertare. Due le ipotesi degli inquirenti: che gli esecutori del sequestro si siano inteneriti vista l'avvenenza e lo stato interessante della ragazza oppure la circostanza che la escort abbia offerto loro più soldi di quanti ne aveva promessi il manager. Quest'ultimo aveva garantito una ricompensa, mai data, di centomila euro a testa per gli esecutori e per l'intermediario, un dentista che l'aveva messo in contatto con coloro i quali avrebbero avuto il compito di prelevare la giovane. Gli inquirenti, coordinati dal pm Luca Gallio e dal procuratore aggiunto Piero Forno, ritengono che l'uomo, facoltoso, separato e con figli grandi, volesse far abortire la ragazza per 'salvare' la propria reputazione. Dopo averla fatta sequestrare dai tre uomini, pregiudicati, P.M. cerca di precostituirsi un alibi denunciando la scomparsa della escort e spiegando ai carabinieri di averla chiamata più volte al telefono, anche se dai tabulati risulterà una sola chiamata. Non sarà la giovane, impaurita, a denunciare la vicenda, ma una sua amica che agli inquirenti racconta di avere ricevuto dalla ragazza la confidenza che era stata rapita. A quel punto i carabinieri di Porta Magenta e i pm la convocano e, durante cinque drammatici interrogatori, apprendono la sua versione, che trova diversi riscontri oggettivi. Durante la prigionia, al primo piano di una casa di campagna, la vittima viene costretta a girare un video nel quale afferma di rinunciare al bimbo che porta in grembo. Un video che doveva servire ai rapinatori per mostrare al mandante che la 'missione' era stata compiuta. Gli inquirenti stanno compiendo accertamenti su una rapina subita dalla ragazza in seguito alla quale, per lo spavento, decise di andare a convivere col manager. La rapina potrebbe essere stata messa a segno dagli stessi esecutori del sequestro ed essere stata finalizzata a 'terrorizzarla'.  

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