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Monti L'Italia declassata favorisce il professore: i partiti gli lasceranno la gatta da pelare. Pansa

Le forze politiche non si prenderanno la responsabilità di governare un Paese da tripla B

Andrea Tempestini
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Potrà sembrare un paradosso, ma io credo che Standard & Poor's abbia offerto un aiuto importante a Mario Monti e al suo governo. Venerdì sera, la maledetta agenzia americana di rating si è scatenata contro l'Europa, salvando soltanto la Germania. La nostra Italietta è stata retrocessa in serie B. E considerata un paese in declino, immobile, destinato a un disastro dopo l'altro. Ma perché questo verdetto può giovare a Monti? La spiegazione è semplice. Chi potrebbe voler governare un paese condannato alla depressione? E prendersi sulle spalle un fardello tanto pesante? Nessuno si butta nel fuoco di propria volontà, a meno di non essere un suicida. Però i capi partito oggi in carica in Italia tutto mi sembrano tranne che folli autolesionisti. Certo, sono bravissimi a farsi del male da soli, e lo stiamo vedendo da tempo. Però non si puntano la pistola alla tempia, a meno che qualcuno non li obblighi a farlo. È molto probabile, dunque, che la Casta continui a lasciare ai Professori il peso di tentare il salvataggio del paese. Qualche big, confinato al passato e tuttavia convinto di avere ancora un futuro, si agita immaginando di andare a nuove elezioni tra qualche mese, in primavera. Pare che Silvio Berlusconi l'abbia promesso a Umberto Bossi, in cambio dei voti necessari per salvare dal carcere uno dei suoi deputati, Nicola Cosentino. Ma tutti sappiamo che il Cavaliere è un fantastico illusionista: dieci ne promette e una forse la mantiene.  Ma il tempo delle illusioni, e dei maghi che le fanno luccicare, è finito. Se ne stanno accorgendo milioni di italiani. Lo sanno bene anche quegli elettori che guardano con fastidio a Monti e ai suoi tecnici. Ma sanno altrettanto bene che soltanto loro, almeno in questa fase di depressione sempre più cattiva, possono offrire una speranza di salvezza. Per questo lo osservano con occhio molto attento.  Non si spiega altrimenti quanto è accaduto domenica scorsa sulla Terza Rete della Rai. Monti era stato invitato da Fabio Fazio a Che tempo che fa. Il reuccio di quel programma non mi piace e io non piaccio a lui. Ma quella sera, grazie al premier, il suo talk show ha fatto boom. Per Monti sei milioni di telespettatori, con un picco d'ascolto di otto milioni. Sul Fatto quotidiano, una giornalista che segue con intelligenza la tivù italiana, Chiara Paolin, ha ricordato che le ultime uscite televisive di Berlusconi erano state un vero flop, con un tracollo degli ascolti.  Purtroppo per noi, la salvezza del paese non dipende soltanto da Monti. Ma questo lo sapevamo ben prima dell'ultima sentenza di S & P. Di mezzo c'è l'Eurozona e gli errori che gli stati più forti insistono nel commettere, a cominciare dalla Germania. I lettori di Libero, grazie a un ottimo servizio di Nino Sunseri, pubblicato il 7 gennaio, avranno di certo letto quanto ha detto Corrado Passera, il ministro dello Sviluppo.  Parlando in un convegno a Parigi, Passera ha messo il dito in una piaga gigantesca e pericolosa: l'incapacità dell'Unione Europea a gestire una crisi che rischia di mandarci tutti a ramengo. Un esempio? L'ostinazione della cancelliera Angela Merkel nell'opporsi alla nascita di una vera Banca centrale europea, in grado di stampare e distribuire miliardi di euro. È vero che in Germania è ancora forte l'incubo dell'inflazione che la distrusse all'inizio degli anni Venti. In quel tempo, la Repubblica di Weimar si trovò alle prese con un mostro invincibile: il crollo abissale, anzi la morte della propria moneta. Nel dicembre 1923 un dollaro americano valeva quattro miliardi di marchi. E l'ambasciata britannica a Berlino calcolò che per il cambio di una sterlina occorrevano tanti marchi quanti sono i metri che separano la terra dal sole. Chi vuole documentarsi su quanto accadde in Germania allora, deve leggere un libro pubblicato l'anno scorso da Neri Pozza, editore a Vicenza: «Quando la moneta muore. Le conseguenze sociali dell'iperinflazione nella Repubblica di Weimar». L'autore è il giornalista inglese Adam Ferguson, già deputato europeo conservatore. Introdotto da una brava economista italiana, Loretta Napoleoni, è avvincente quanto un film horror dal finale terribile. Infatti, il disastro dell'iperinflazione e la fine della Repubblica di Weimar prepararono il terreno all'avvento del nazismo e di un signore con i baffetti: Adolf Hitler. Tuttavia, la storia non si ripete mai. E per come la vedo io, soltanto Monti e i suoi professori possono salvare l'Italia e, al tempo stesso, evitare l'assassinio dell'euro. Non credo che ci riuscirebbero gli attuali partiti italiani. Oggi la Casta piange disperata perché si rende conto che milioni di cittadini sono passati dalla sfiducia al disprezzo. Ma come dice un vecchio adagio, chi è colpa del suo mal pianga se stesso. Che cosa accadrebbe se in primavera, per dar credito alla promessa del Cavaliere al Senatur, si ritornasse in anticipo alle urne, con questa legge elettorale? Una legge che in una manciata di mesi non potrebbe essere cambiata, visto lo stato comatoso della classe politica e della sua proiezione parlamentare. Vediamo i probabili schieramenti. Un blocco moderato, costituito dal Pdl e da una parte della Lega, il pezzo rimasto fedele a Bossi. Uno riformista, composto dal Pd, dai centristi di Casini e, forse, dai leghisti di Maroni. Uno radicale o estremista, che vede insieme Di Pietro, Vendola, le schegge della sinistra post comunista e, forse, il movimento di Grillo. Chiunque riesca a vincere, dovrebbe formare un governo di coalizione. Ossia un esecutivo frutto di un'alleanza fra diversi. Un marchingegno che, come dimostrano le esperienze più recenti, dal secondo governo Prodi all'ultimo governo Berlusconi-Bossi, risulta sempre più difficile da manovrare e tenere unito. Anche la domanda su chi vincerebbe, non ha risposta. Oggi è un rebus impossibile da risolvere. Le novità, e dunque le incognite, sono troppe. Nessuno può sapere quale sbocco avrà il sentimento anticasta oggi prevalente. Né quale peso avranno i nuovi strumenti di comunicazione politica che ogni giorno trionfano su Internet. Idem per i mini gruppi di pressione che emergono sul web e nelle piazze virtuali, del tutto insondabili. Lavorando nei giornali da più di mezzo secolo, ho visto e raccontato molte campagne elettorali. Ma quella prossima ventura non riesco a immaginarla. Penso di conoscere soltanto due realtà. La prima è che un'altra epoca storica è finita. Siamo alle prese con la Terza repubblica, ma ci stiamo entrando con tutti i nostri vecchi difetti. Egoismi personali e di categoria. Fastidio per le norme che regolano la vita pubblica. Evasione fiscale al massimo. Abitudini dannose e dure a morire. Un menefreghismo aggressivo e diffuso per le sorti di un Paese che una volta chiamavamo patria. La seconda realtà riguarda il comportamento dei media. Dar vita a campagne contro Monti e i Professori non serve a nulla. Posso sbagliarmi, ma le considero battaglie di retroguardia, un esempio di ritardo professionale e culturale che non giova neppure a chi lo mette in mostra. Se e quando Monti cadrà, andrà gambe all'aria per circostanze ben più grandi di mille polemiche della carta stampata. Ma allora ci troveremo tutti in mutande. Senza neppure saper chi ringraziare o a chi dare la colpa. di Giampaolo Pansa

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