Bossi si rassegni: Maroni dopo di lui, non il Trota
Paragone: Il successore c'è già. E per il Senatùr non sarà semplice uscire dal casino in cui il cerchio magico lo ha infilato a forza
Stavolta non sarà facile per il Senatur uscire dal casino in cui il cerchio magico l'ha infilato a forza. Bossi s'è lasciato convincere che Maroni è un pericolo per la sua leadership e soprattutto che lo è per il futuro di Renzo, più noto come Trota. Così lo ha scomunicato urbi et orbi: niente più manifestazioni per l'ex ministro dell'Interno. O forse no. Già perché il Senatur e il suo storico braccio destro si sono sentiti al telefono per spiegarsi. Dove porterà questo tira e molla è difficile saperlo; ormai le tensioni con i dirigenti fedelissimi al segretario sono difficili da sanare. Bossi pentito? Un tempo, l'Umberto non si pentiva delle sospensioni o delle radiazioni: così doveva essere punto e basta. L'aveva deciso lui. In via Bellerio, l'usanza era questa e così doveva essere. Il Capo è il Capo, non si discute. Se non fosse che ora via Bellerio è una cosa e la Lega un'altra. Via Bellerio è l'apparato, è la nomenclatura vecchia, rugosa, rancorosa e soprattutto inconcludente. Via Bellerio rappresenta i signorsì: sono i giovani rampanti Reguzzoni e Bricolo, è la confusionaria urlatrice Rosi Mauro (guardatevi su YouTube una memorabile votazione presieduta dalla pasionaria: digitate “Rosi Mauro senato votazione” e scoppierete a ridere per qualche minuto); via Bellerio è il tesoriere Belsito, quello diventato famoso per gli investimenti in Tanzania; è la Padania che nasconde le notizie. Da una parte il cerchio magico, dall'altra la militanza. In mezzo loro due, Umberto e Roberto. Non solo un'amicizia che s'incrina ma un pezzo di storia che sembra non accordarsi più. Vero, c'è il precedente del '94 con tutto quello che conseguì; erano altri tempi e soprattutto Bossi non si faceva influenzare da nessuno. Quei tempi sono un ricordo pallido, non solo per effetto della malattia e per lo strapotere che il cerchio ha cumulato negli ultimi anni. Maroni ormai è diventato il leader naturale del movimento, senza nemmeno volerlo. Così ha scelto la base. Chi conosce il Bobo sa che per nessun motivo avrebbe voluto uno strappo così evidente con il Capo (lo ha sempre chiamato così), tanto che all'ultimo congresso di Varese fece non uno ma due passi indietro consentendo a Reguzzoni (a costo di qualche morsicatura di lingua da parte dei suoi) di mettere la bandierina sulla segreteria provinciale. Una vittoria simbolica, priva di contenuto politico perché Varese è nelle mani dell'ex ministro. E Varese non è una città qualunque per chi conosce la mappa leghista. Mercoledì a Varese si consumerà uno strappo epocale: dal sindaco Fontana all'ex segretario provinciale Candiani al presidente della provincia Dario Galli, tutti i big locali insomma saranno insieme in una manifestazione pubblica in risposta al diktat bossiano alla quale parlerà il Bobo. C'è da giurarci che sarà così anche altrove. Forse per questo Bossi sta tentando una retromarcia. Militanti, sindaci, simpatizzanti: l'ex ministro raccoglie il consenso seminato in questi anni. Dove lo impiegherà? E soprattutto per fare cosa? Scordatevi robe tipo Lega 2 la vendetta: Maroni non mollerà le insegne di Alberto da Giussano. Anzi, vuole proprio quello spadone per... accopare il cerchio magico. Ovviamente dovrà uscire allo scoperto, fare alleanze, togliere Reguzzoni dal ruolo di capogruppo alla Camera, vincere i congressi locali onde essere poi pronto al congresso della Lombarda (potrebbe contare su Matteo Salvini, uno dei leghisti più apprezzati dalla base) e per quello federale quando saranno convocati. Sa che Bossi potrebbe tentare un altro colpo sotto la cintura, nominando commissari e segretari dall'alto. Vorrebbe dire che il clima si farebbe sempre più pesante. Chi sta con Maroni? Proprio per effetto dell'azione come ministro dell'Interno, Maroni ha consolidato i suoi rapporti con gli amministratori leghisti. Il sindaco di Varese Fontana e il sindaco di Verona Tosi sono già due volti spendibili per un'asse lombardo-veneto incentrato su un federalismo concreto, un federalismo che non toglie risorse ai sindaci (la prima battaglia potrebbe essere quella contro il patto di stabilità a favore dei sindaci virtuosi). Proprio sulla questione dei tagli agli enti locali Maroni e il mondo bossiano ebbero le prime tensioni, colpevole anche il gioco di Tremonti con Calderoli. La maturità politica e la visibilità acquisita consentono infine a Tosi di essere l'uomo forte del Veneto a scapito della vecchia guardia capeggiata da Gianpaolo Gobbo, capo della Liga Veneta da anni e fedelissimo di Bossi. L'ascesa del sindaco di Verona ha messo progressivamente ai margini il ruolo di Luca Zaia, ex ministro dell'Agricoltura e ora governatore del Veneto. Così come è in discesa la stella di Cota, molto più presente al fianco di Bossi e dei cerchisti che a Torino come presidente della giunta. Cosa dovrà fare la Lega maroniana? Tornare ad avere le mani libere, fuori dallo schema bipolare centrodestra-centrosinistra (tanto più ora che il bipolarismo è in crisi), e soprattutto dovrà consolidarsi sempre più sul territorio. Sapendo che una legge elettorale sbagliata può relegare ai margini il Carroccio. Per questo l'esperienza politica di Maroni ha più che mai valore nella Lega di domani. di Gianluigi Paragone