La democrazia della sinistra? Se le dà torto diventa malata
Di Pietro, 'Fatto', 'Repubblica' sparano sulla Consulta e Parlamento. Ma fino a quando colpivano il Cavaliere erano sacri
Con tutta probabilità, quando ha dichiarato al Fatto quotidiano che «ora ci manca solo l'olio di ricino», Antonio Di Pietro stava parlando di se stesso e non, come voleva darci a bere, dell'attuale governo. Il trattorista di Montenero ha sciorinato il suo repertorio pseudo mussoliniano, tuonando contro l'aula sorda e grigia del Parlamento, minacciando di trasformarla in un bivacco di manipoli. La diagnosi di sindrome bipolare è facilmente formulabile, e può applicarsi non solo al leader dell'Idv, ma pure a buona parte del sinistrume cartaceo italiano. Andiamo con ordine, perché districarsi è complesso e a seguire certe elucubrazioni si rischia di rimetterci la salute mentale. Ieri i giornali progressisti, dopo il no alla richiesta d'arresto per Nicola Cosentino, si sono lanciati contro il Parlamento a cannoni spiegati. Sul Fatto, foglio sempre gradevole, Furio Colombo lo ha trattato alla stregua di un'associazione di «camorristi al potere», «un corpo malato che giace inerte immobilizzando e umiliando la Repubblica». Marco Travaglio, sull'onda, lo ha dipinto come un covo delle cosche e ha vaticinato che l'antipolitica «esploderà alle stelle, compattando in un solo blocco chi è convinto che non esistano più vie democratiche per risanare la malapolitica e chi più semplicemente pensa che ormai tanto vale fare a meno del Parlamento e delle elezioni». Si tratta delle idee espresse mesi fa dal venerando professor Alberto Asor Rosa, il quale, allo scopo di far cessare il governo Berlusconi, auspicò l'intervento dei carri armati e la chiusura delle Camere. La democrazia, di cui fino a prova contraria il Parlamento è un'istituzione fondamentale, è buona soltanto quando fa comodo e nei momenti in cui le decisioni dei rappresentanti del popolo sono conformi al volere dei saggi editorialisti di cui sopra. L'idea che senatori, deputati ed elezioni siano un orpello è condivisa da tutti, a sinistra. Le differenze di pensiero riguardano piuttosto il metodo con cui destituirli. Per Di Pietro, Colombo e Travaglio sarà la piazza ululante a sollevarsi mettendo a ferro e fuoco Roma. Secondo il più moderato Massimo Giannini di Repubblica spetta invece a Giorgio Napolitano «scuotere i partiti dal torpore, inchiodarli alle loro responsabilità di fronte al Paese», porre rimedio alla «accidiosa “vacanza” della politica». Un po' come avvenne quando il presidente favorì l'ascesa di Mario Monti al posto di Berlusconi: anche lì, di elezioni nemmeno l'ombra. Rispetto a Napolitano, va notato, il parere di Di Pietro è molto diverso: egli parla esplicitamente di «golpe bianco» e di «regime» manovrato dal Colle. Non è tanto il colpo di Stato a dargli fastidio (dopotutto considera il Parlamento «un'associazione criminale»), quanto il fatto che l'abbia gestito un altro e non lui. Ecco spiegato il motivo del risentimento contro Nonno Giorgio. Comunque sia, l'idea di democrazia resta evanescente. Una forma di schizofrenia particolarmente violenta si manifesta pure nell'atteggiamento della sinistra verso la Corte costituzionale che ha bocciato il referendum sulla legge elettorale. A parere di Tonino essa «non ha nulla di giuridico e costituzionale, è un organo politico». Peccato che diede del matto al Cavaliere quando, nel 2009, espresse analogo pensiero. Secondo Massimo Giannini, la decisione della Consulta ha regalato al Paese «un brutto giorno per la democrazia». Peccato che il suo giornale linciasse Silvio ogni volta che si esprimeva sui giudici. Marco Travaglio, che si è reso conto della contraddizione, si è esibito in un'arrampicata sugli specchi da manuale. Fino a due anni fa, ha spiegato, della Consulta ci si poteva fidare, poiché ci ha «salvati da una serie di leggi incostituzionali imposte da Berlusconi». Ma dal 2009 in poi, le toghe che la compongono sono divenute infami, in quanto legate nei modi più disparati al centrodestra e dovrebbero quindi «abbandonare i loro scranni». Che si tratti del Parlamento, della presidenza della Repubblica o della Corte costituzionale (o, semplicemente, della democrazia) le istituzioni vanno bene finché impediscono agli avversari politici di raggiungere i loro scopi. In caso contrario, vai con l'insulto libero: diventano camorriste, golpiste, delinquenti, malate. E chissà se qualcuno, per tali epiteti, griderà al vilipendio. Immaginiamo di no, quello si riserva solo al direttore di Libero qualora osi commentare le azioni del Colle. A leggere le contorsioni logiche delle illustri menti progressiste, viene davvero voglia di chiedere l'intervento di una forza esterna al Parlamento e indipendente dal voto. Una forza sovranazionale: la Croce Rossa. Nella speranza che abbia abbastanza ambulanze a disposizione. di Francesco Borgonovo