Cav, giuramento al Senatùr "Umberto, presto si vota"
In cambio del voto su Cosentino Bossi ha strappato una promessa a Berlusconi: Monti a casa, elezioni a giugno
«Dio c'èèèè!». Mario Landolfi esulta come neanche dopo la coppa ai Mondiali di calcio. Nicola Cosentino si lascia cadere sul suo banco, sfinito dallo stress e dall'attesa. Alfonso Papa si fa largo tra i colleghi per andare a baciare o' coordinatore. San Gennaro ha fatto il miracolo. E pazienza se Bossi li chiama “terroni” (a fini assolutori però: «Non è che i terroni devono per forza andare in galera...», la frase precisa). Al Senatur i campani del Pdl dicono grazie: merito anche suo se per Cosentino non si aprono le porte del Grand Hotel, come è ironicamente chiamato il carcere a Napoli. Silvio Berlusconi siede qualche fila più giù, è soddisfatto ma non si unisce alla torcida. È finita 309 a 298, prevalgono i no all'autorizzazione alla misura cautelare: «Ci sono i numeri per rifare il governo Berlusconi», sorride Daniela Santanchè in Transatlantico. La fiducia magari no, non sarebbe passata, ma il Cavaliere segna un punto e assume una serie di consapevolezze. Il successo berlusconiano sta nell'aver dimostrato di essere ancora in grado di orientare le decisioni della Camera. Non è poi così bollito, l'ex presidente del Consiglio. Silvio ha rimesso in piedi l'asse con Bossi, depredato un pezzo di Udc, incassato il sostegno dei radicali. Le consapevolezze? Che questa maggioranza trasversale e questo governo dei tecnici «non andranno avanti a lungo». Finiranno presto, secondo Berlusconi: «Non possiamo stare insieme a chi vuole farci fuori mandando i nostri deputati in galera, è contro natura». Il rapporto con Monti, poi, va deteriorandosi ogni giorno che passa: «È un esecutivo che mette tasse a go go, che dà la caccia ai ricchi, che vuole penalizzare le categorie a noi elettoralmente vicine. Finirà per danneggiarci, lo sta già facendo...». Ma il nocciolo vero è che, dopo aver incassato il soccorso di Bossi, adesso è l'ex premier che deve tendere una mano al Senatur, in difficoltà nel suo partito: «Umberto è un uomo ragionevole e perbene, il vero problema è Maroni». L'unica ciambella da tirare a Bossi sono le elezioni a breve termine. Solo così il vecchio leader si salva dalla concorrenza dell'ex ministro dell'Interno, che vuole spodestarlo. Solo così può essere lui a stilare le liste elettorali infarcendole di fedelissimi, in modo da relegare Bobo in minoranza. Silvio? Sta valutando se accontentare il socio ritrovato. Fino a prima di Natale, l'uomo di Arcore vaticinava un orizzonte lungo per Mario Monti a Palazzo Chigi. Fino al 2013. Adesso Berlusconi è meno ottimista sulla sorte del professore: «Vediamo come si comportano, se il prezzo da pagare è troppo alto, negheremo il nostro sostegno». Dicono ci sia un'intesa tra Silvio e Umberto per il voto anticipato. A giugno, al più tardi in autunno. Ma soprattutto torna l'asse Pdl-Lega (tendenza Cerchio magico) sulla legge elettorale. Ciò significa che Silvio continua a guardare al Carroccio come l'alleato privilegiato, pure per il futuro: «Il rapporto tra di noi non è finito», sorride. Naufraga di nuovo il sodalizio con Casini, invece. Non è destino: Silvio ieri mattina aveva chiamato Pier (ha contattato personalmente anche diversi deputati leghisti) per chiedere una mano all'Udc a nome di Cosentino. Niente da fare: il leader dei centristi ha negato il favore e si è ritrovato il partito spaccato. Una ventina, secondo i calcoli del Pdl, i deputati postDc che avrebbero salvato Nick dal gabbio. Ecco: Berlusconi rimette una pietra sopra alla possibile alleanza con Casini e torna a riabbracciare Bossi. Adesso che la Corte Costituzionale ha bocciato i referendum sulle regole di voto, il Porcellum va modificato comunque - secondo Silvio -, ma senza penalizzare il Carroccio. «Va migliorato con il premio di maggioranza nazionale al Senato». E anche inserendo una quota di seggi eletti con le preferenze. Quando Berlusconi lascia Montecitorio, davanti ai taccuini evita trionfalismi sul salvataggio di Cosentino: «La Camera ha preso la decisione giusta, in linea con la Costituzione». Adesso, assicura, Nicola «affronterà il processo da uomo libero» e lascerà l'incarico da coordinatore del partito in Campania. Il Cavaliere percepisce che l'argomento è impopolare, sa che la gente nutre un sentimento anticasta. D'altronde i sondaggi sono bruttini: il Pdl è al 25 per cento (in flessione), lui al 30 mentre Monti gode della fiducia del 56 per cento degli italiani. Un consenso che va eroso, lavorando il governo ai fianchi. A partire dalle liberalizzazioni: «Diciamo no a quelle inutili» o a quelle che penalizzano singoli settori «come le farmacie, che rischiano di chiudere». di Salvatore Dama