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Cosentino: "Mi dimetterò" Cav: "Se va male stacco spina"

Oggi il voto sul coordinatore Pdl, che a Belpietro spiega: "Mai rapporti con la camorra". Berlusconi è più combattivo

Andrea Tempestini
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Nicola Cosentino, a poche ore dal voto in aula alla Camera sull'ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, spiega al direttore di Libero, Maurizio Belpietro, di essere "sereno". Nel corso de La Telefonata di Mattino 5 il coordinatore del Pdl in Campania ribadisce di non avere mai avuto rapporti con la camorra, come invece sostengono i magistrati di Napoli. Cosentino sottolina di essere stato accusato perché "ho cercato di cambiare il sistema Campania". Il coordinatore ha poi aggiunto di non avere alcun parente camorrista e di non voler lasciare i suoi incarichi anche in caso di arresto; una frase, quest'ultima, smentita intorno a mezzogiorno, quando Cosentino ha spiegato che "un minuto dopo la votazione, qualunque sia l'esito, mi dimetterò dal ruolo di coordinatore regionale campano del Pdl". Guarda l'integrale dell'intervista di Belpietro a Cosentino su Libero Tv Segue l'articolo di Salvatore Dama «Basta leggere le carte per capire che contro Cosentino non c'è nulla. Ma tu le hai lette le carte...?». La giornata in Transatlantico scivola così, con questa domanda-tormentone che dà il via a tutte le conversazioni tra deputati. È la vigilia del Nick-day. E gli onorevoli campani del Pdl, ma ci sono anche senatori in trasferta da Palazzo Madama, cercano di perorare la causa del loro coordinatore regionale: «Nicola non ha fatto niente, nun è comme a quel farinella là...», intraducibile definizione appiccicata al povero Alfonso Papa.Si contano i voti. La base di partenza non è granchè. Il Pdl sconta gli ammutinamenti che hanno fatto cascare il governo a novembre. In più l'ex sottosegretario teme il voto favorevole (all'arresto) di una manciata di colleghi azzurri a cui non sta simpatico: li ha chiamati personalmente, vuole evitare perlomeno il fuoco amico. Eppoi c'è la Lega. Che casino che è la Lega: fino al pomeriggio il Carroccio è spaccato a metà. I padani sono 59: secondo i calcoli fatti dal Pdl, 33 stanno con Maroni (l'ala manettara) e 26 con Bossi. In serata parla il Senatur e spariglia: «Nelle carte non c'è niente, bisogna stare tranquilli quando si parla di arresti». È la mano che Berlusconi aveva chiesto all'ex (?) alleato. All'ultimo minuto, ma è arrivata. Ed è anche altro: la guerra fraticida nella Lega, anche se il leader si limita a lasciare «libertà di coscienza» ai suoi. Fatto sta che i numeri adesso sono un po' più solidi e, contando anche su una trentina di franchi tiratori tra Udc, Pd e Italia dei valori,  Cosentino inizia a sperare sul serio. A ora di cena il coordinatore campano del Pdl varca la soglia di Palazzo Grazioli. Berlusconi lo abbraccia. C'è emozione: è stata una giornata dura per Cosentino, lo sarà anche oggi. Gli occhi lucidi. Nicola ribadisce la sua estranietà, ricostruisce la vicenda, si dice innocente, anzi vittima dei pm. Mette a disposizione il suo mandato di leader di partito, ma Silvio frena. Meglio aspettare il responso di Montecitorio. L'ex premier comunque crede al suo uomo: «È una vergogna», sbotta, «la magistratura politicizzata continua a perseguitarci. Non basta che io non sia più a Palazzo Chigi, vogliono distruggere anche il nostro partito». Il Cavaliere punta il dito anche contro Casini: «Sotto sotto spera che i pm di sinistra  cancellino il Pdl per prendere i nostri voti...». Ma lui non molla. Continua a tenersi stretto Bossi («Hai visto?», fa a Cosentino, «Umberto alla fine è stato leale, dobbiamo essere molto soddisfatti: non era scontato che parlasse») e punta dritto contro il governo: «Noi siamo l'azionista di maggioranza in Parlamento, se ci fanno un torto, non staremo a guardare. Si aspettino di tutto». Se arrestano Cosentino, minaccia Berlusconi, «nulla sarà come prima». La voce che gira è che il Cavaliere, per lisciarsi il Senatur,  abbia promesso di staccare la spina al governo in primavera per giungere al voto anticipato in giugno. Vero, falso? Il fatto è che Silvio ha difficoltà anche a tenere buoni i suoi, nel Pdl il fastidio verso i tecnici aumenta ogni giorno di più. Tanto che, in alcune conversazioni, Berlusconi si è lanciato in una previsione: «Non saremo noi, ma la gente a cacciare via i professori. Può anche essere accolto con tutti gli onori dalla Merkel, ma ogni giorno che passa Monti e i suoi diventano sempre più impopolari in Italia». In questo ragionamento si innesta il referendum sulla legge elettorale (oggi la decisione della Consulta), altro fattore crisogeno per l'inquilino di Palazzo Chigi. Che, nei prossimi giorni, dovrà affrontare le valutazioni dei partiti sul pacchetto “cresci-Italia”. A tal proposito, Silvio ha ordinato ai suoi di  preparare un piano organico su liberalizzazioni, rientro da debito pubblico e crescita: «Spiegheremo noi ai professori come si fanno le riforme, visto che loro non sono capaci».       di Salvatore Dama

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