Pansa: Napolitano meglio di Renzi
Il pregio del Capo dello Stato? La vecchiaia. Meglio la sua esperienza dell'inesperienza di Matteo
Confesso di provare un briciolo di simpatia per quel deputato di Forza Italia che ha proposto ai suoi elettori di spegnere Giorgio Napolitano. Non in senso fisico, per carità, con un attacco armato al Quirinale o con un attentato alla vettura presidenziale. La proposta dell'onorevole è quella di spegnere la televisione nella sera del 31 dicembre, mentre il Presidente della repubblica si rivolge agli italiani con il tradizionale discorso di Capodanno. Qualcuno potrebbe giudicare l'onorevole spegnitore soltanto un cretino che ha deciso di apparire sui giornali con una proposta demenziale. Ma il Bestiario non si sente di appioppargli il titolo di Fesso 2013. Per un motivo personale che riguarda la mia infanzia. Quando ero un bambino di quattro o cinque anni, avevo paura del buio. Mentre scendeva la notte, al momento di andare a dormire chiudevo gli occhi e me li coprivo con le mani. Non vedevo più l'oscurità della stanza. Ma quando provavo a fare capolino tra le dita, mi rendevo conto che il buio era sempre lì. E non aveva nessuna intenzione di andarsene. Il nostro deputato bambino deve rassegnarsi. La sera del 31 dicembre potremo pure spegnere la tivù e poi ciucciarci un cine panettone, ma Re Giorgio resterà nel suo ufficio sul Colle, e ci rimarrà sino a quando lo deciderà lui. Nel discorso di Capodanno potrebbe anche annunciare le dimissioni, ma non credo che lo farà. Non esistono limiti di età per i capi di Stato e soltanto una malattia senza rimedio può indurli a lasciare. Napolitano ha compiuto in giugno 88 anni e sembra in ottima salute. Per di più l'età gli ha indurito il carattere. E resa più tenace la volontà di restare in campo per adempiere sino in fondo al dovere di servire la Repubblica. Succede spesso con gli anziani. Lo constato anche su me stesso e ora proverò a spiegarmi. Sono nato nell'ottobre del 1935 e oggi ho 78 anni, dieci in meno di Napolitano. Ho sempre avuto un caratterino da prendere con le molle, come diceva la mia santa madre. Ho lavorato in otto giornali con otto direttori diversi e redazioni sempre nuove. Il nono è “Libero”. Da giovane non la mandavo a dire da nessuno, la dicevo io e basta, anche a costo di scontri piuttosto aspri con i colleghi. Invecchiando sono diventato tenero? Per niente. Ne prendano nota i giovanotti e le ragazzaccie che vogliono mandarci a casa e papparsi il nostro posto, perché siamo fuori tempo e non possiamo più ingombrare la ribalta. L'essere anziani non è un fattore di debolezza, bensì di forza. Perché dici a te stesso: non devo mollare, devo segnare altri punti, devo continuare a rompere i santissimi al prossimo. Quando avevo già 68 anni, ed era il 2003, ho avuto la faccia tosta di scrivere “Il sangue dei vinti”. Di lì è cominciato il mio lavoro di narratore revisionista della guerra civile italiana. Ho fatto incavolare mezza sinistra e la sua corrente manesca mi ha dato la caccia per impedirmi di presentare i miei libri in pubblico. Qualche amico mi diceva: “Giampaolo, sei vicino ai settant'anni, riposati, scrivi libri più tranquilli, non andare in cerca di guai!”. Rispondevo così: “Proprio perché sto diventando anziano, non ho nulla da perdere. Non devo più fare carriera, non ho bisogno di avere protettori tra i big politici, gli editori mi pubblicano perché pensano che abbia parecchi lettori. Dunque la cautela sarebbe il mio errore mortale”. A sinistra non avevo più tifosi. A destra mi osservavano sconcertati. Me ne sono impipato. Ho tirato avanti. E tra un mese e mezzo, darò un altro dispiacere ai Gendarmi rossi della memoria resistenziale. L'unico che può fermarmi è il Padreterno. Ma sino a oggi, toccando ferro, è stato benevolo con me. Perché non dovrebbe esserlo con i tanti anziani che non voglio smettere di essere vivi? Rita Levi Montalcini ci ha spiegato di continuo che la giovinezza di un essere umano non si misura con l'età. Basta far lavorare il cervello, non rinunciare a studiare e a combattere, non sentirsi inutile e dimostrare ai giovani che si è più capaci di loro. Per questo non riesco a capire perché qualche grande giornale si prepari ad espellere molti sessantenni, destinati al pensionamento anticipato. Nella carta stampata si ripete l'errore dei cosiddetti tagli lineari, ben poco intelligenti. Ancora una volta, l'età diventa una mannaia che colpisce professionisti in grado di dare molto ai lettori. I direttori più avveduti mettono le mani avanti e giurano che rimedieranno con contratti di collaborazione. Ma anche in questo caso siamo di fronte alla Caporetto di tante aziende italiane: cacciare gente esperta e al loro posto mettere giovani senza esperienza. Ammesso, e non concesso, che le grandi testate non siano dei masi chiusi che si aprono dall'interno soltanto per espellere i capelli grigi, senza mai far entrare nessuno. Qualche giorno fa il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha annunciato che è iniziata la rivoluzione dei quarantenni. Gli sono grato di non aver copiato Matteo Renzi, usando la parolaccia che piace molto al nuovo segretario del Partito democratico: rottamazione. Come rottamatore, il sindaco di Firenze sembra aver avuto successo. Ha messo nell'angolo persino un duro come Max D'Alema. Un politico che ho conosciuto bene e del quale ho scritto molto. Ho anche polemizzato con lui, però gli riconosco una correttezza di fondo nei confronti dei giornalisti che non appartenevano al suo clan. Ma oggi non posso evitare una domanda. Dopo aver rottamato D'Alema e altri come lui, Renzi con chi ha sostituito i politici che un tempo guidavano la sinistra? Se considero il suo cerchio stretto, ossia la nuova segreteria del Pd, vedo trentenni ai quali non affiderei neppure di tenere in ordine un ripostiglio. Tante giovani donne inesperte, tranne una. Tanti maschi di capello nero che mi fanno sentire il freddo alla schiena, anche per la loro arroganza. Leggo che Renzi vorrebbe un rimpasto del governo Letta-Alfano. Ma forse sarebbe meglio se lui decidesse un rimpasto profondo della propria segreteria. Anche a osservarla senza pregiudizi, l'impressione inevitabile è che sia stata costruita con una fretta eccessiva, per dimostrare che il nuovo segretario pratica il decisionismo veloce. E che la scelta abbia obbedito a un solo criterio: l'età giovane. Il risultato? E' cominciato subito il tiro al piccione ai collaboratori di Renzi. Provocato anche da errori dovuti all'inesperienza lampante. E da interviste demenziali come quella offerta a Carlo Tecce del “Fatto quotidiano” da Francesco Nicodemo, nominato responsabile della comunicazione del Pd. Chi voglia rendersi conto della ridicola fragilità di questo signore dall'incarico tanto delicato, la può trovare sul numero del 20 dicembre. A questo punto, qualcuno potrebbe osservarmi: “Del Pd non c'importa niente. Noi votiamo il centrodestra. Renzi faccia quel che vuole nel suo partito”. Sarebbe un'obiezione accettabile in epoche diverse da quella odierna. Ma l'Italia è un paese nei guai. Può salvarsi soltanto se tutti gli italiani, di destra, di centro e di sinistra, lasciano in disparte le divisioni. Per non parlare dell'odio che troppe fazioni covano dentro di sé. Saremo capaci di darci la mano, con la consapevolezza che, se non ci salviamo tutti insieme, non si salva nessuno? Mentre scrivo il mio ultimo Bestiario del 2013, mi scopro ancora in grado di sperare nel futuro. Per questo rinnovo la mia fiducia in Giorgio Napolitano, l'anziano d'Italia. di Giampaolo Pansa