Socci: quello che i preti non osano denunciare più
Come ritrovare la fede nonostante certe prediche. Il consumismo sembra il bersaglio preferito di molti sacerdoti, ma è Dio stesso che esagera coi regali
«Per molta gente l'oppio non è tanto stupefacente quanto un sermone pomeridiano ». Così Jonathan Swift – autore dei “Viaggi di Gulliver”, ma anche pastore protestante irlandese – iniziava una sua esilarante predica «Sul dormire in chiesa». Ma il libriccino che anni fa l'ha riproposta col titolo «La predica tormento dei fedeli», più che castigare la distratta indolenza dei cristiani, incenerisce la pochezza dei predicatori. Nel giorno di Natale, quando le chiese si riempiono di persone, i celebranti danno il meglio, o peggio, di sé. Sarebbe quella una grande occasione di annuncio (come ha ricordato di recente papa Francesco nella sua esortazione “Evangelium gaudium”). Ma come viene usata? Joseph Ratzinger, anni fa, se ne uscì con una battuta che più o meno diceva: una prova della divinità della Chiesa sta nel fatto che la fede dei popoli sopravvive a milioni di omelie domenicali. Certo, a scorrere i diversi autori che dicono la loro, nel libretto sopra citato, si scopre che la «predica» è da tempo vissuta come anticipo delle penitenze del Purgatorio. Già don Giuseppe DeLuca scriveva: «abbiamo annoiato il mondo, noi che dovevamo svegliarlo e salvarlo». E lo scrittore cattolico Georges Bernanos: «Un prete che scende dal pulpito della verità con la bocca a culo di gallina, un po'riscaldato, ma contento, non ha predicato, ma ha fatto tutt'al più le fusa». E François Mauriac: «Non c'è nessun posto in cui i volti sono così inespressivi come in chiesa durante le prediche». Ricordo che Bernanos nel “Diario di un curato di campagna” scrive: «Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire». Tuttavia, se in tanti casi prevale la noia di un disincarnato perbenismo «politically correct», in altri c'è un eccesso di sale che rende il piatto immangiabile. E finisce per aggiungere ustioni e dolori al povero Giobbe, già assai provato di suo. Accade quando i fedeli vengonoinvestiti da invettive infuocate di improvvisati Savonarola che si sentono impegnati a castigare il mondo infame. Questo moralismo ha una versione «progressista» e una «tradizionalista». Nel primo caso l'uditorio sarà messo sul banco degli accusati per le sue (presunte) colpe sociali, nel secondo per le sue (presunte) colpe spirituali. Comunque sono sempre ceffoni. In genere poi sotto Natale i predicatori moralisti di entrambele obbedienze sitrovanoconcordi nel martellare il povero, silente uditorio per il suo ripugnante consumismo. Tanti buoni parroci infatti si rivolgono a noi come se fossimo nababbi spendaccioni, ribaldi che vivono di lussi superflui e viziosi che trascorrono le feste in orge e gozzoviglie. L'invettiva «contro i regali» (ignara peraltro di quanto ha scritto Benedetto XVI sulla «cultura del dono») è così abituale che viene ripetuta pigramente anche in anni come questo, che in realtà vede tutti al verde, alle prese con le bollette e le tasse. Altro che regali. Se questi predicatori – che peraltro non si vestono di peli di cammello e non si nutrono di lo- custe come il Battista – avessero un minimo di realismo capirebbero. Del resto, se nemmeno a Natale crescono i consumi, la crisi si aggrava. Allora serve a poco tuonare dal pulpito che tutti hanno diritto a una casa e a un lavoro… Temi utili però per continuare a recriminare anche dopo Natale. Ma perché inveire sempre verso quei poveri cristiani che vanno a messa e già devono sudare per far quadrare i bilanci familiari? Perché metterli sul banco degli accusati quando ci pensano già lo Stato e il fisco a spolparli e vessarli in mille modi? Perché strapazzarli così anche là dove pensavano di incontrare e ascoltare un Dio che aspetta a braccia aperte i suoi figli, come un Padre pieno d'amore? Che triste e misera cosa un simile cristianesimo. Predicatori del genere – diceva Charles Péguy – sanno solo «lamentarsi e blaterare», sono «medici ingiuriosi che se la prendono con il malato, avvocati ingiuriosi che se la prendono con il cliente; pastori ingiuriosi che se la prendono con il gregge». E dire che avrebbero da dare al mondo la notizia più grande ed entusiasmante. La più consolante. Ma non se ne accorgono.Ose la sono dimenticata: è il regalo che Dio ha fatto agli uomini. Lui sì che esagera con i regali. Lui sì che sciala e ci vizia, riempiendoci di beni. Infatti il Creatore non si è accontentato di darci l'esistenza, la terra, il cielo, i mari, le montagne, le stelle, i campidi grano, l'acqua, il fuoco, la luna e il sole. Ha fatto la follia di donarci il suo stesso cuore: suo figlio Gesù. Colui che paga per tutti noi. È per questo regalo impareggiabile che la gente semplice anche quest'anno varcherà la soglia della Chiesa. Per vedere il Dio bambino. Il Re che si è spogliato di tutte le sue ricchezze per fare ricchi noi. Cercano «la carezza del Nazareno». Cercano il Bel Pastore che ha promesso consolazione a tutti gli affaticati e gli oppressi. È quel Gesù che, nel villaggio di Naim, pieno di compassione per la madre che aveva perso il figlio, prima di resuscitarglielo le sussurrò: «donna, non piangere! ». Per questo è venuto sulla terra, per dire a tutti: «amico, fratello, sorella, non piangere più. E non temere. Perché io sono qui con te». Ecco come lo annunciava papa san Leone Magno: «Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c'è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia ècomune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita». Come ha scritto don Julian Carron, se si è verificato l'impos - sibile – cioè Dio che si è fattouomo – più «nessuno può dirsi abbandonato, dimenticato o condannato… il Signore vuole farci capire che a Lui tutto è possibile ». Il cambiamento della nostra vita, il cambiamento delmondo e qualunque altro miracolo. Un maestro di fedecome don Divo Barsotti diceva: «Noi offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli! Noi non ci crediamo! Per questo non chiediamo. Parlo schiettamente. Guardate i santi: insistevano. Pensate a quello che diceva san Filippo Neri: “Noi dobbiamo costringere Dio a venire a compiere questo miracolo”. Aveva una forza che non si lasciava vincere dal fatto del silenzio di Dio, dal fatto che sembrava che Dio non ascoltasse la preghiera; insistevano fintanto che Dio non doveva piegarsi alla volontà dell'uo - mo». Poi don Divo spiegava: «No, non è che Dio si pieghi alla volontà dell'uomo, ma Dio rispondealla preghiera dell'uomo. Noi manchiamo contro il Signore quando non chiediamo i miracoli. Dobbiamo chiedere a Dio e non dobbiamo vergognarci di chiedergli tanto… Facciamo poche storie: non crediamo, non crediamo. Bene, non devo turbarmi, perché anche se anche avessi ammazzato, perché se anche avessi commesso un adulterio… se veramente io fossi il peggiore dei peccatori, posso io pensare che il mio peccato sia un limite alla Onnipotenza e alla Misericordia Divina?». Infine don Barsotti aggiungeva: «Perché si stanca la pazienza di Dio? Perché non gli si chiede quello che noi possiamo desiderare. Se tu chiedi meno della creazione, tu vai all'Inferno, perché non chiedi quello che Lui ti dona. Lui ti dona Se Stesso. I santi chiedevano e chiedevano, fintanto che non avevano ottenuto ». Questa sì è una Buona Notizia. L'unica grande Notizia. di Antonio Socci