Soggetti smarriti, l'Italia dimenticatanel libro di Dell'Orto
A Milano siamo in pieno Autunno Americano. Non aspettatevi chissà cosa: due mostre già viste e un paio di spettacolini. Però ci si sente ispirati a citare Andy Warhol per parlare di un libro ghiotto come un cupcake glassato verde pistacchio. Si chiama Soggetti smarriti, proprio come la rubrica che ci ha deliziato per oltre 200 volte sulla pagine di questo stesso giornale a opera di Alessandro Dell'Orto. Cosa c'entrano con l'America piena di glamour della pop art gli scomparsi che Alessandro ha riproposto al nostro interesse? Si tratta spesso di personaggi piccoli, che già a Chiasso non conoscono. Non si tratta della solita frase sui democratici 15 minuti di fama. Perché a Warhol di quel lasso di notorietà non importava nulla. Lui era attratto in maniera morbosa dall'ombra che si estende dopo quel quarto d'ora di flash e riflettori. Warhol era un appassionato lettore di certi volumetti stampati su pessima carta e venduti nei corrispettivi americani delle nostre edicole, un misto di tabaccai e caramellai. Appartenevano a una collana che si chiamava «Che fine hanno fatto». Ogni numero parlava del declino e delle miserie di attrici che avevano spopolato per un paio d'anni. Anche io avrei voluto conoscere i destini di cabarettisti incapaci, vallettume transitato per molte camere da letto, complessi romantici che spopolavano nelle caserme ai tempi della leva obbligatoria. Finché, un giorno, mi sono imbattuto nella serie di articoli di Alessandro Dell'Orto e il mio sogno si è avverato. Ho letto e riletto le sue interviste sul sito di Libero e ho finalmente saputo come sbarcava il lunario l'ex soubrette, dove viveva il personaggio che ha illuminato le cronache per un paio di settimane. E ora una selezione di quelle interviste è raccolta nel volume appena uscito, edito da WLM Edizioni (pp. 275, 15,70 euro, on line su Libroco.it e Amazon.it). Io avrei pubblicato più volumi con tutte le interviste, più numerosissimi inediti. Però mi accontento anche di questa selezione che comprende 23 interviste, ben equilbrate tra spettacolo, cronaca, sport. La televisione, che nel 90 percento dei casi è responsabile della creazione di simili meteore, ha spesso cannibalizzato i personaggini che ha distrutto. Non nascondo di essere stato tra i primi colpevoli, nel 1997, di questa moda. Ma forse proprio perché sono passati ormai troppi anni sarebbe il caso di smetterla di fare spettacolo infierendo su cantanti da One Shot o attricette sexy che ormai inciampano nelle tette. Quando li vedi non puoi fare a meno di inorridire. Ma davvero quelli erano i nostri «migliori anni»? L'effetto zombie che Carlo Conti garantisce a ogni suo show non appartiene allo stile di Alessandro Dell'Orto. Le sue interviste sono solide, compatte, dicono tutto quello che vorremmo sapere. Alessandro non è tipo da fare domande troppo lunghe. Scrive poche parole, spesso senza neanche il punto di domanda. E sembra così che sia il personaggio ad avere voglia di parlare, di dire ciò che non ha voluto mai raccontare per decenni, come ha fatto Maurizio Cocciolone, che scopriamo uomo dai raffinati gusti artistici ben distante dalla macchietta cui l'aveva ridotto Emilio Fede. E mai una cattiveria, anzi Alessandro è sempre stupito di vedere come il culo di Rosa Fumetto (è lei che vuole venga usato quel termine) sia lo stesso di quando l'ammiravamo per la prima volta nei servizi «proibiti» di uno dei più bei programmi televisivi mai fatti, Odeon di Brando Giordani ed Emilio Ravel. Non sempre le riesumazioni mediatiche di Dell'Orto riguardano meteore e carneadi da 15 minuti di fama. Spesso Alessandro è andato a trovare personaggi che sono stati noti e il cui ricordo persiste nella memoria del pubblico. Ma che a un certo punto hanno fatto come qualsiasi bravo lavoratore: sono andati in pensione. È il caso dell'incontro con l'arzillo Andrea Baroni, il meteorologo, o con il grumo di tenerezza dell'intervista a Lucia Mannucci e Virgilio Savona del Quartetto Cetra. Sarebbe facile infierire sul dimenticato, su chi ha perso la fama. Alessandro non lo fa. Sia perché è intelligente, sia perché gli stessi soggetti che ha scelto non rimpiangono quasi mai ciò che hanno lasciato. Al punto di non essere cascati nei trappoloni indecenti dei reality con gli ex famosi. Nel mondo, lontano dai riflettori, esiste ancora la dignità. Tommaso Labranca