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Giordano: la sinistra ostriche e champagne che a Capalbio ci spiega quanto è bello essere poveri

Nella lussuosa residenza Pietromarchi il guru Latouche parla di decrescita felice tra maggiordomi e leccornie. Niente da fare: i radical chic non cambiano mai

Giulio Bucchi
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La decrescita felice? Sì, ma in villa. Ridefinire la ricchezza? Sì, ma non prima di aver ammirato gli stucchi del Settecento. La rinuncia al consumo? Sì, purché non manchino le tartine di caviale. La sinistra di Capalbio si ritrova  oggi nella lussuosa residenza Pietromarchi, all'ombra di un giardino «prezioso e curato, ombreggiato da una pineta regolare di pinus pinae risalenti al 1920, con pergole e spazi  ricchi di piante e essenze particolari, frutto di una preziosa botanica e di un gusto raffinato». E in mezzo a cotanta lussuosa meraviglia, di che cosa discutono? Di come diventare tutti più poveri, ovviamente, secondo gli insegnamenti del  maestro della decrescita felice, Serge Latouche, che sarà l'applaudito relatore. Viva la frugalità, basta con l'abbondanza. E per festeggiare la riscoperta della miseria, avanti con lo champagne. Ad organizzare le cerimonie i luminari gauche caviar di Capalbio, dal filosofo Giacomo Marramao all'ambasciatore Rocco Cangelosi, cavaliere di Gran Croce dell'Ordine  al Merito della Repubblica Italiana, fino ad arrivare all'immancabile Nicola Caracciolo, principe di Castagneto e duca di Melito, uno che di ridefinizioni della ricchezza se ne intende, essendo stata recentemente la sua famiglia al centro di una contesa ereditaria da circa 200 milioni di euro.  Che ci volete fare? Prima di ridurre i consumi, si sa, è meglio aumentare i conti in banca…  Ma quest'anno c'è la crisi, e dunque anche il pensiero nobile della sinistra all'Ultima Spiaggia ha il dovere di mostrarsi attenta alle questioni economiche. Il guru della decrescita, Serge Latouche, farà un vero e proprio tour di tre giorni fra ulivi e salotti: dopo il primo incontro nella settecentesca villa Pietromarchi, verrà esibito anche nella «splendida cornice» della piazzetta di Capalbio dove otterrà anche il premio economia per il libro Le follie dell'obsolescenza programmata. Del resto si sa: ai principi, agli ambasciatori e ai duchi di Melito l'obsolescenza programmata non piace per nulla. Preferiscono scadere in modo naturale. Però è interessante che la discussione sulla necessità di diventare tutti un po' più poveri avvenga nelle ville settecentesche o nella «splendida cornice» della piazzetta di Capalbio. Chissà perché Marramao e Caracciolo non provano ad andare a spiegare il concetto dell'«adorabile miseria» alla Falchera di Torino o nei quartieri devastati di Sesto San Giovanni.  In effetti: da quelle parti la riduzione dei consumi l'hanno già sperimentata, la decrescita pure, sebbene non sia stata neppure troppo felice.  E allora, se la sinistra illuminata dal sole più chic d'Italia avesse davvero coraggio, potrebbe tentare l'impresa di convincere qualche ex operaio di Marghera o qualche disoccupato di Bagnoli che l'unica abbondanza che conta è quella della frugalità, come insegna Latouche, e che riempire la mente è più importante che riempire la pancia. Perché non lo fanno? Ovvio: queste belle frasi possono convincere solo chi non ha mai avuto davvero fame. Per questo il successo del profeta della decrescita a Capalbio è assicurato. Lì, beatamente assorti fra pinus pinae del 1920 e maggiordomi che servono crudité, i santoni della sinistra elegante si possono dilettare fin che vogliono con le parole d'ordine della riduzione dell'abbondanza e della pauperizzazione meditata. Si capisce: la prospettiva di diventare poveri è assai allettante come gioco di società, purché poi ad una certa ora si finisca, magari in tempo per  un ultimo brindisi con l'Old Cognac Courvoisier&Curlier. «Anche un'arancia può essere un piatto succulento, i cubetti di ghiaccio una leccornia», insegna Latouche esaltando la povertà anche nei consumi alimentari. E nelle ville dei principi di Castagneto è un fremito d'entusiasmo:  avanti con i  cubetti di ghiaccio, allora. Altrimenti le ostriche dove le mettiamo? di Mario Giordano

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