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Giordano: La svolta del ministro Kyenge, ora tratta gli italiani come degli oranghi...

Mario Giordano e Cécile Kyenge

Dopo gli insulti, l'esponente pd è diventata intoccabile. Ora può proporre qualunque cosa e chi la critica diventa razzista. La Lega faccia mea culpa

Andrea Tempestini
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Nessuno tiri le banane alla Kyenge, ma la Kyenge non tiri le banane agli italiani. Con tutto il rispetto per il ministro diventato ormai intoccabile, il suo piano anti razzismo,  sviluppato da 85 associazioni secondo  un «approccio integrato e multidisciplinare» e avvalendosi dell'Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali), rischia di trasformarsi  in uno sfottò per chi da anni lavora in questo disgraziato Paese, pagando le tasse (troppe) e difendendo la sua terra. Sapete come la pensiamo: paragonare il ministro ad un orango è una roba scellerata, da condannare e biasimare. Ma il biasimo dà forse il diritto di trattare da orango un commerciante di Usmate Velate? O un artigiano di Carrù? L'impressione è che si stia verificando esattamente quando avevamo paventato.  Profezia fin troppo facile: dietro la sollevazione anti-banane, dietro le giuste reprimende per le parole fuori luogo dei leghisti, si  vara un piano che con il finto proposito di combattere il  razzismo,in realtà, apre le porte del Paese all'invasione straniera. Avanti clandestini alla riscossa, bandiera rossa la trionferà: la trappola in cui sono caduti i leghisti è spaventosa perché con la loro idiozia hanno trasformato la Kyenge in una specie di madonna pellegrina del pensiero progressista, il santino del politicamente corretto, l'idolo della curva gauche-chic. E così adesso è impossibile contrastare il suo  progetto sciagurato, perché chiunque obietta viene iscritto d'ufficio al Ku Klux Cassoeula Klan, presunte brigate xenofobe in salsa padana. Ma sicuro: osi criticare il piano anti-razzismo? Sei razzista. Dissenti dalla Kyenge? Sei un tiratore di banane.  E invece no: noi non tiriamo le banane, a malapena le mangiamo, ci vanno pure di traverso. Però non amiamo nemmeno prenderle sulla testa, soprattutto non teniamo mai la loro buccia  sui nostri occhi. E così ci sembra abbastanza evidente che il piano anti razzismo, con buona pace delle 85 associazioni e dell'Unar che dovranno svilupparlo, è fin d'ora un concentrato di banalità e  proposte discutibili, come  quelle che riguardano le graduatorie per le case pubbliche, dove gli italiani, in nome dell'anti-razzismo, rischieranno di vedersi scavalcati dagli immigrati; o come quelle sulle scuole d'italiano pagate dallo Stato (un modo per risolvere il problema dell'esubero dei docenti?); o ancora come quelle sulla lotta alla xenofobia-web che ha subito sollevato dubbi sulla possibilità di mettere il bavaglio a Internet. E non si escludono altre chicche dal prosieguo dei lavori delle 85 associazioni e dell'Unar. Ma ciò che più preoccupa, fra un richiamo al workshop e una carezza alle comunità sinti e «camminanti» (nuovo eufemismo per nomadi?), non è tanto quel che il piano anti razzismo dice, quanto quel che il piano tace. E cioè il disegno che ci sta dietro: un progetto di invasione più o meno pacifica dell'Italia, attraverso l'introduzione dello ius soli e l'apertura indiscriminata delle frontiere, il «ringiovanimento» della popolazione italiana attraverso l'innesto di dosi abbondanti di stranieri. E così, sim sala bin, il gioco è fatto: il governo che doveva risolvere i problemi urgenti dell'economia italiana vara invece un progetto culturale di vaste proporzioni che, lungi dal risolvere alcunché, prosciuga risorse nazionali in nome di un multiculturalismo diffuso, di un embrassons nous planetario, di un'accoglienza senza limiti né controlli. Gli esodati? Dimenticati. I pensionati? Bistrattati. I giovani disoccupati? Manco lo zuccherino. L'unico progetto che procede spedito come un treno è quello che apre le porte ai clandestini. Anzi, pardon: ai migranti. Che pure la parola «clandestino» ormai è diventata un tabù. L'avete visto, cari leghisti dal cervello corto, che cosa producono le vostre uscite scimmiesche? Avete visto che cosa producete a forza di spremute di banane? Ora tutti lì, appesi all'invito alla festa leghista di Cervia: per carità, signor ministro,venga, si accomodi, le faremo gli onori di casa, non le offriremo frutta nemmeno su un vassoio. È bastato che la Kyenge sollevasse il sopracciglio e il segretario Maroni s'è subito piegato: «Fai tacere i leghisti», dice lei, come no, «la chiamo subito», risponde lui in stile Fantozzi. Sull'attenti, mi raccomando. E guai a passare per un nemico di Sua Maestà dell'Integrazione.  Ma vi pare? La Padania fa bene a riportare in prima pagina il camion inglesi con i manifesti anti clandestini («Tornate a casa o sarete arrestati») che sono stati difesi dal premier  Cameron.  A Londra la battaglia per le legalità continua. Qui no. Qui è impossibile. Qui siamo diventati tutti oranghi, chiusi dentro le nostre gabbie,  costretti ad osservare l'esaltazione di provvedimenti devastanti per il Paese, che tutti però applaudono perché temono altrimenti di essere accomunati ai lanciatori di frutta. Ma si chieda, la Padania, di chi è la colpa  di questa situazione assurda, se davvero non si poteva essere un po' più prudenti. O, almeno, intelligenti. Provi a rispondere. Noi, nel nostro piccolo, continueremo a ripetere  a voce alta quello che pensiamo. E  cioè che offendere la Kyenge è da dementi. Ma anche offendere gli italiani, caro ministro, non è da meno. di Mario Giordano

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