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Pansa: le comari suicide che tifano per il crac di Letta

Giampaolo Pansa

Il Paese dovrebbe ringraziare Napolitano: ha blindato l'esecutivo evitando che il Paese sprofondasse. Ma in troppi, dal "Fatto" alla sinistra, non lo capiscono

Giulio Bucchi
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Sempre più spesso mi domando se la classe dirigente italiana meriti di avere un presidente della Repubblica come Giorgio Napolitano. Per classe dirigente intendo l'insieme dei partiti politici, il complesso dei media, i vertici economici e quelli culturali. Insomma i poteri considerati forti, eppure sempre più deboli rispetto alla crisi globale che ci imprigiona. L'unico a salvarsi, e a salvarci, resta Napolitano. E chi ha avuto modo di conoscerlo al tempo della prima Repubblica sa quali siano le armi di cui dispone.  L'arma più forte è il carattere. Napolitano è stato sempre un osso duro e, grazie a Dio, continua a esserlo. E come tutti gli ossi duri è un tipo da prendere con le molle. Lo ricordo all'epoca del vecchio Pci. Lui guidava l'area di destra del Partitone rosso, quella migliorista o socialdemocratica. Aveva tutti contro, a cominciare da Enrico Berlinguer e le sue truppe corazzate, per finire con gli stalinisti guidati da Armando Cossutta. Però non ha mai cambiato bandiera e, alla fine, si è visto che aveva ragione lui.  Dei giornali e di noi giornalisti non sentiva alcun timore. Anzi, mostrava di essere un politico meticoloso, di una pignoleria senza scampo che non faceva sconti a nessuno. I colleghi del Fatto quotidiano, che lo assalgono ogni giorno dipingendolo come un monarca autoritario che ha già realizzato la repubblica presidenziale, non si accorgono di andare a sbattere contro un roccia. Sono troppo giovani. E forse il loro direttore, Antonio Padellaro, ormai vicino alla settantina, dovrebbe spiegargli che re Giorgio non è il tipo da impressionarsi davanti ai loro articoli e ai titoli stampati in rosso.  In questi ultimi giorni, Napolitano ha salvato il governo Letta messo nei guai dall'affare kazako. E l'Italia dovrebbe essergli grata un'altra volta per aver impedito che la crisi di Palazzo Chigi scaraventasse il Paese in un marasma politico capace di farci precipitare nell'abisso di nuove elezioni. Per di più sotto l'incubo di una legge elettorale che, sino a oggi, non è stata ancora cambiata per le colpevoli incertezze dei partiti. Che cosa sarebbe successo se Napolitano non avesse blindato il governo? Un numero crescente di italiani lo sa benissimo. La recessione e tutti i guai che comporta sono una scuola severa che ci obbliga a imparare tante cose che prima ci lasciavano indifferenti. A chi fosse ancora all'oscuro dei tempi che corrono, consiglio di leggere un'analisi di Dino Pesole, apparsa sul Sole - 24 Ore di venerdì: «Le incognite economiche che fanno alzare la guardia». Spiega con chiarezza quali sarebbero stati «i contraccolpi irrecuperabili», evocati da Napolitano nell'incontro con i giornalisti del 18 luglio.   In parole povere, il crac del nostro Paese sarebbe stato senza rimedio. I partiti che sorreggono il governo Letta sono consapevoli di quanto poteva accadere se la mozione di sfiducia nei confronti del ministro Alfano fosse passata? Penso di sì, tanto è vero che la mozione è stata respinta. Tuttavia neppure il pericolo scampato sembra aver messo tranquille le due parrocchie più grandi, il Pdl e il Pd.  Nel Pdl si nota una fibrillazione difficile da attenuare. Qui tutti aspettano il 30 luglio e il verdetto della Cassazione sul processo a Silvio Berlusconi. E molti si domandano che cosa potrebbe accadere nel caso di un giudizio sfavorevole al Cavaliere. C'è da sperare che non accada niente. Del resto, perché Berlusconi dovrebbe uccidere il governo? La sua convenienza sarebbe uguale a zero. Per di più, Napolitano ha già fatto sapere che non scioglierà le Camere e non deciderà le elezioni. In questo modo, la strategia del centrodestra non avrebbe nessun sbocco, se non quello di un altro esecutivo dal quale Berlusconi resterebbe escluso.  Ma la fibrillazione più rischiosa è quella che devasta il Partito democratico. Qui assistiamo a un caos interno che rischia di distruggere la parrocchia oggi guidata da Guglielmo Epifani. Lo dice una serie di indizi negativi che ogni giorno si moltiplicano. Venerdì al Senato il discorso del capogruppo Luigi Zanda ci ha messo di fronte a un paradosso: invitava al voto a favore di Angelino Alfano, un politico che nello stesso momento veniva descritto dallo stesso Zanda come un uomo da gettare agli squali, oberato da troppi incarichi, incapace di reggere un ministero delicato come gli Interni, coinvolto nell'affaraccio kazako. La requisitoria recitata da Zanda, diventato irriconoscibile per le posizioni irresponsabili, da ultrà giustizialista, che va assumendo giorno dopo giorno, aveva una spiegazione non detta. È apparsa subito chiara poche ore dopo, quando Epifani ha annunciato quel che chiederà in autunno.  Terminate le ferie d'agosto, il governo Letta dovrà essere sottoposto a un «tagliando di qualità», ossia a una revisione attenta della sua composizione e degli obiettivi che si propone. Per essere ancora più esplicito, Epifani ci ha spiegato che è necessario un «esecutivo più forte, perché ci aspetta un autunno terribile». Povero Guglielmo, richiamato in servizio dal pensionamento della Cgil. Si comporta come se non sapesse che le sue dichiarazioni servono soltanto a indebolire il governo Letta, l'unico che il Paese ha e continuerà ad avere anche in autunno. Non soltanto perché fa il possibile nelle condizioni date, ma perché non ha nessuna alternativa realistica.  Per quale motivo la nomenklatura partitica dà sempre l'impressione di perdere la testa? La mia opinione è che si comporti così perché è succube di un contesto ben più forte. Del resto, quando la politica è debole e non ha fiducia in se stessa, diventa subalterna ad altri poteri. Un tempo si inginocchiava davanti all'industria e alla finanza, due padroni del vapore di una potenza senza limiti. Ma oggi le imprese e le banche stanno alla canna del gas. E hanno ceduto il passo al potere dei media.  Anche i media attraversano mille difficoltà, ma per i nostri partiti di carta velina restano sempre un padrone indiretto da rispettare con attenzione. Repubblica è sempre stata contraria al governo delle larghe intese e oggi vede trionfare la sua linea sfascista. Il giorno del voto su Alfano ha preso la penna persino «Barbapapà» Scalfari. Con un articolo di fondo intitolato: «Quel ministro non può restare al suo posto».  Ma le allegre comari che sperano nel crac del governo Letta e del Paese sono ben più numerose. Il Fatto spara ogni giorno contro Napolitano, un monarca assoluto, padrone del governo. Ieri una vignetta di Vauro lo dipingeva come un satrapo: «Il dittatore dell'Italiastan». L'informazione di Sky è sempre più ringhiosa contro Letta. Venerdì la sezione del telegiornale dedicata all'economia, ha dato spago a un giornalista tedesco che si augurava la fine di Letta & C. perché il governo «produce soltanto fuffa». Anche il tigì della Sette spara a zero. Un servizio sul dibattito a Palazzo Madama è stato presentato con un titolo riesumato dalla propaganda mussoliniana: «Napolitano ha tracciato il solco e Letta lo difende».  In questo carnevale di suicidi abbiamo ascoltato il canto del cigno di Matteo  Renzi. Sempre sul La7, il direttore Mitraglia Mentana gli ha offerto un interminabile monologo. Doveva essere il trionfo del nemico numero uno del governo Letta, invece si è rivelato la sua rovina. Il sindaco di Firenze ha mostrato il lato peggiore di se stesso. Un piacione eccitato, narcisista e presuntuoso. Un vero Parolaio bianco. Pronto a fare l'intrattenitore nelle navi da crociera. Come tanti altri italiani, anch'io avevo sperato in lui. Adesso risulta chiaro che mi ero sbagliato.     di Giampaolo Pansa

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